I misteri della lapide quadrilingue tra mito e storia
Un libro di Giovanni Tessitore indaga sulla pietra funeraria normanna custodita alla Zisa, che racchiude scritte in greco, arabo, latino ed ebraico
di Guido Fiorito
1 Febbraio 2020
I miti si nutrono di realtà storica e la realtà storica di nutre di miti. Cosa sappiamo davvero sulla Palermo dell’epoca normanna? Giovanni Tessitore, professore di sociologia del diritto, con la passione della storia, affronta il tema a partite da una lapide ormai famosa, quella che riporta un testo in quattro lingue e che fu commissionata da Crisanto, chierico di re Ruggero II, nel 1149. Una lapide che è stata indicata come esempio del multiculturalismo e della tolleranza della Palermo normanna con un riferimento alla città di oggi. Una star: ha lasciato il Castello della Zisa per essere esposta a Tel Aviv, a Istanbul, a Mannheim fino alla mostra del 2016 al British Museum di Londra che raccontava 4000 anni di storia della Sicilia.
Ne “I mille enigmi della lapide quadrilingue” (edito dalla Banca popolare Sant’Angelo in occasione dei cento anni di vita) Tessitore si mette nei panni di un investigatore che voglia capire quale sia la realtà di questa lapide e distinguerla dal mito. Il risultato sono trentasei domande con il titolo interrogativo per altrettanti capitoli, cui non si dà spesso risposta ma ipotesi di soluzione. “Una finestra su un mondo scomparso che va ancora indagato”, la definisce Pasquale Hamel nella introduzione. La lapide è un esagono irregolare di 40 centimetri di base e 32 di altezza che contiene iscrizioni in quattro lingue, in altrettanti riquadri talmente piccoli da diventare un rompicapo per gli studiosi.Le lingue usate sono il greco, l’arabo del tipo della cancelleria normanna, il latino e un ebreo bizzarro. Il testo di quest’ultimo riquadro è scritto con caratteri giudaici, ma che sostituiscono parole arabe. In più, per lo spazio ristretto, vi sono parole sintetizzate, deformazioni di lettere per entrare negli stretti limiti, sintesi con il metodo della tachigrafia (sorta di stenografia dell’epoca) ma anche contrazioni irregolari e addirittura scritte in verticale che si intersecano con quelle orizzontali. Insomma un vero enigma per gli studiosi. Perfino le date sono una Babele: quella nel testo latino parte dall’anno zero, ovvero la nascita di Cristo; per gli arabi dal 622 dopo Cristo anno dell’egira, l’esodo di Maometto; quella ebrea è ricavata dall’origine del mondo, l’equivalente del 3761 avanti Cristo, che per i greci era fissata al nostro 5508 avanti Cristo.Dal testo greco sappiamo che si parla della sepoltura della madre di Crisanto, di nome Anna, morta nel 1148, sepolta “nella grande chiesa congregazionale” e poi spostata in una cappella che viene indicata all’interno della chiesa di San Michele de Indulciis che sorgeva nella zona che oggi ospita Casa Professa. Tessitore sostiene la tesi che la grande chiesa della lapide non fosse la cattedrale (“a quel tempo non era stata costruita ed esistevano i resti di quella antica”) ma Santa Maria della Grotta, nella zona della attuale biblioteca comunale, centro devozionale dei greci melchiti, i cattolici di rito bizantino, cui apparteneva Crisanto.Emerge poi la figura di Giorgio di Antiochia, sorta di primo ministro del reame, condottiero e ammiraglio di valore, capace di conquistare Tunisia e parte della Libia, ancor più potente in quell’epoca in cui Ruggero II è devastato dalla malattia. “Antiochia potrebbe non essere la città di provenienza di Giorgio – dice Tessitore – ma un attributo, in quanto il patriarca di Antiochia è il fondatore della chiesa greca di riferimento. Per comprendere quei tempi dobbiamo guardarli con gli occhi di allora e non con le nostre categorie moderne”. Da qui l’ipotesi di guardare alla tolleranza dei normanni come una scelta di pochi invasori “di opportunità per tenere unito un tessuto etnico e sociale assai variegato. Vedere in ciò il riflesso del dialogo e della fratellanza tra le culture è ingenuo. Molti studiosi tendono a ridimensionare la vulgata della Palermo urbs felix populi trilinguis. Così come si attribuiscono a Federico II molte prerogative e valori positivi riconducibili correttamente al nonno Ruggero II”. Tesi che fanno discutere e gli storici si sono confrontati animatamente alla presentazione del libro.