Tra il 1806 e il 1807 al magazzino del Molo di Palermo arrivarono 174 casse: contenevano gli arredi di pregio che Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria destinavano alle loro nuove residenze siciliane: la Casina “alla Cinese”, il Sito di Ficuzza e il Casino di Solanto. Da un inventario conservato all’Archivio di Stato, a Napoli, redatto dal Sovrintendente della Real Casa, si scopre che nelle casse, tra tavolini intarsiati, sete, legni vasi cinesi, piani miniati, quadri, c’erano anche straordinari lampadari di fattura diversa. Pallido alabastro, cristalli scintillanti, bronzo antico, foglia d’oro, dettagli in seta: la Casina alla Cinese riluceva a ogni festa, illuminata ad arte dalle candele, mentre i signori invitati si mostravano l’un l’altro i dettagli delle delicatissime pitture. Nel salone da ballo, al piano seminterrato della residenza, brillavano i tre maestosi lampadari di bronzo dorato e cristalli, a dodici e otto lumi, che Maria Carolina aveva donato al re, facendoli realizzare dagli artigiani austriaci di Schombrunn. I lampadari della Casina Cinese erano in condizioni molto degradate, con questo restauro sono tornati alla luce: 25 pezzi straordinari su cui l’associazione Le Vie dei Tesori è intervenuta grazie al supporto de Il Gioco del Lotto che ne ha permesso l’intero recupero, annunciato durante la manifestazione Più Tua Palermo, che ha anticipato l’edizione 2016 del Festival. I lampadari sono stati recuperati l’anno successivo e il pubblico li ha potuti ammirare durante le visite guidate delle ultime tre edizioni.

Immaginate dame sedute che conversano amabilmente facendosi aria con un ventaglio dipinto. Sullo sfondo, i saloni di un qualsiasi palazzo nobiliare della Palermo di inizio Ottocento. Le nobildonne eleganti aggiustano le gonne e nel movimento si mostra un delicato divanetto in seta verde scuro a vaghi motivi floreali a foglia d’oro. Certo, è un ricordo virtuale ma a veder ritornare alla sua originaria bellezza il famoso “salottino da conversazione in stile olandese”, sembra quasi di sentir conversare le dame. Il salottino, probabilmente realizzato a inizio ‘800, è decorato con fiori dipinti e decorazioni plastiche fitomorfi in foglia d’oro: composto da quattro sedie, due poltroncine e un divanetto a due posti, si trova nel “salotto verde” al secondo piano della casa Museo di Palazzo Mirto. Il suo restauro si deve ai fondi ricavati dagli ingressi ai dieci luoghi aperti da Le Vie dei Tesori durante la prima Biennale Arcipelago Mediterraneo, nel febbraio 2018. Un euro a luogo, poi la votazione: e il 47 per cento dei follower del festival ha scelto il salottino, che è stato restaurato a cantiere aperto e con prodotti ecocompatibili, anche se la sua nascita resta un mistero: le ricerche d’archivio non sono riuscite a individuare né l’artigiano che lo ha realizzato né la famiglia nobile che l’ha commissionato. I restauratori hanno deciso di togliere l’ultima ridipintura molto alterata di un intervento precedente, e la porporina che ricopriva la foglia d’oro originale, riportandola così al suo aspetto ottocentesco. Il legno è stato disinfestato e sono state integrate alcune lacune. Il rivestimento tessile è stato smontato, pulito tramite un delicato processo di aspirazione, e consolidato “a sandwich” con tela di cotone e tulle in tinta.

Leggenda metropolitana voleva che fosse lo scheletro del leone Ciccio, vissuto in una gabbia di Villa Giulia fino agli anni Ottanta. Ma in realtà questo esemplare di Panthera Leo è molto più antica e ha tutt’altra provenienza. Certo è che lo scheletro è maestoso ed è stato riassemblato – grazie a Le Vie dei Tesori – come un puzzle a partire da pezzi conservati da decenni, integrando gli elementi mancanti con la stampa 3D, confrontandolo con un secondo scheletro proveniente dall’Università di Messina. L’anno scorso lo scheletro è stato l’ospite inatteso del museo di zoologia Doderlein che custodisce, come cristallizzato, l’ecosistema di un secolo e mezzo fa: gli studiosi intervenivano infatti con uno speciale trattamento chimico, una formula segreta sconosciuta, che ancora oggi dà effetti di assoluto realismo. E da un anno, anche lo scheletro fa parte dei pezzi più curiosi del Museo.

Il lavoro sulla “La Pietà con le sante Lucia e Agata” è un restauro eccezionale: uno dei pochissimi, forse l’unico, portato a termine durante il lockdown dovuto all’epidemia di Covid 2019. E ha riservato moltissime sorprese. Il recupero – votato dal 41 per cento dei follower che ha partecipato alla votazione online indetta alla fine dell’edizione del festival 2019 – è dell’associazione Le Vie dei Tesori, realizzato con il sostegno di IGT. Il progetto iniziale era quello di un cantiere aperto al pubblico, ma nessuno aveva fatto i conti con la pandemia. Per fortuna, al momento dell’emergenza, la tavola non si trovava già più nella sontuosa e minuscola cappella trapanese dove sarebbe stato impossibile lavorare, ma – con il consenso della Sovrintendenza e della Diocesi di Trapani – era stato trasferito nello studio della restauratrice, Claudia Bertolino, che ha potuto quindi continuare la sua opera anche durante il lockdown. E ha scoperto una mano molto raffinata per una tavola realizzata nella Sicilia orientale (dove è molto forte il culto delle sante Lucia e Agata), che ha dovuto sopportare dipinture e restauri molto invasivi, ora rimossi. Ripulendo lo sfondo scuro, che appariva come un ambiente montano, sono sbucati fuori un paesaggio marino con pescatori e barche; e uno stemma misterioso: cinque tavolini racchiusi in due quadranti, con gigli e un’aquila, iscrizione che non esiste nell’araldica siciliana.

Sono stati completati gli interventi di manutenzione della torre campanaria della chiesa del Carmine di Marsala, finanziati da Le Vie dei Tesori e da IGT: si è lavorato sia sulla parte esterna che all’interno della torre campanaria. Con l’aiuto di una piattaforma aerea, è stato pulito il piano del tamburo della cupola, che si trovava in uno stato di degrado avanzato, ed è stato consolidato e impermeabilizzato, intervento che era già stato fatto per mettere in sicurezza la scala elicoidale, tra i siti più visitati durante l’edizione del 2019 de Le Vie dei Tesori). La cupola del campanile è stato scelto dal 40,9 per cento dei follower del festival tra i sei beni proposti per il restauro.

Le due sfingi in pietra di Billiemi (calcare compatto), scolpite da Vitale Tuccio per l’ingresso del Gymnasium, furono realizzate tra il 1789 – quando iniziò la costruzione degli edifici principali dell’Orto Botanico – e il 1795, anno della sua inaugurazione. Simboleggiano le incognite della scienza e la sfida ambigua che la sua progressiva conquista pone al genere umano. Nell’Europa dell’Illuminismo un elemento ricorrente, sia per la moda dell’Egitto dopo le prime scoperte archeologiche, sia per il diffondersi della massoneria con i suoi simboli. Le sfingi sono oggetto di un delicato restauro – con l’aiuto di IGT – che colma le lacune e riporta la pietra al colore originario. L’Orto botanico fu voluto da Francesco d’Aquino, principe di Caramanico, viceré di Sicilia, Gran Maestro di una loggia di ascendenza francese. Oltre a offrire 2100 onze come contributo personale, ottenne da re Ferdinando una donazione di ulteriori 9000 onze. L’Orto fu dotato di un Gymnasium e di due corpi laterali, Tepidarium e Calidarium, in stile neoclassico, su progetto dell’architetto francese Léon Dufourny, con Pietro Trombetta, Domenico Marabitti e Venanzio Marvuglia.

E’ stato completato l’anno scorso il restauro dei due splendidi corali manoscritti in pergamena rivestiti in pelle, scelti dai follower de le Vie dei Tesori tra i beni da salvare per l’edizione 2018. Il restauro è stato portato avanti, a cantiere aperto, nella duecentesca Fardelliana di Trapani, tra stemmi araldici di nobili famiglie trapanesi e busti di personaggi illustri. Biblioteca civica dal 1830, l’anno successivo fu intitolata a Giovanni Battista Fardella, ministro della guerra del Regno delle Due Sicilie che donò la sua immensa collezione. Oggi custodisce 170 mila volumi (manoscritti, incunaboli, cinquecentine) di ordini religiosi soppressi. Tra i pezzi preziosi, anche stampe incise del Piranesi. I corali sottoposti a restauro risalgono al XVI secolo e appartenevano alla chiesa di San Domenico, erano veramente molto rovinati, con i colori alterati e mancano i lembi di alcune pagine, oltre a frammenti del dorso. Il lavoro dei restauratori li ha riportati alla loro originaria bellezza.

Un vero e proprio palcoscenico mobile, che funzionava perfettamente tramite un complicato sistema di pesi e contrappesi: è la cosiddetta Tavola matematica ovale realizzata dall’architetto Vincenzo Marvuglia per re Borbone alla Casina Cinese di Palermo. I nobili abitanti della residenza erano gelosissimi della loro privacy e non amavano essere interrotti né volevano rivelare momenti privati o delicati incontri istituzionali, neanche alla fidata servitù. L’unico ammesso ai pranzi di Ferdinando e Carolina – in fuga da Napoli si erano rifugiati a Palermo nel 1798 – era il maggiordomo, spesso aiutato da un servitorello. Un sistema di cordicelle colorate permetteva di comunicare con i servitori che attendevano gli ordini al piano seminterrato e li comunicavano alle cucine “reali”, affiancate da una seconda cucina “rustica”. Il sistema era complesso: le vivande e i piatti di servizio affioravano da questa complessa “macchina d’arredo” – ormai pressoché unica al mondo – che è finalmente ritornata a funzionare perfettamente, anche se resta delicatissima. Il marchingegno in legno è stato restaurato dalla Sovrintendenza ai beni culturali con il contributo del festival Vie dei Tesori che è già intervenuto nel restauro dei lampadari.

Su una predella maiolicata sull’altare maggiore è rappresentata una piccola e spoglia chiesetta, addossata a un ponticello sotto il quale scorre l’acqua di un fiume: era la cappella dalle suore dell’Origlione, sotto scorreva il turbolento Kemonia. Qui c’è tutta la storia di questo straordinario oratorio che possiede anche un piccolo hortus conclusus con l’alloro e un arancio che non smette mai di produrre frutti; l’odore qui è inebriante, gelsomino, glicine, rose e zagara. Le nobili Dame dell’Aspettazione del Parto della Vergine (congregazione esistente ancora oggi) acquistarono dalle suore dell’Origlione la chiesetta bombardata e la ricostruirono, trasformandola nel loro punto d’incontro per pregare e sostenere le mamme bisognose e i loro piccoli al momento della nascita. Nobildonne palermitane di illustri casati hanno cucito i corredini per i piccini del rione. Superata la soglia del bel portale barocco, si scopre un luogo dove sembra che il tempo si sia fermato. Nella cappella, un tripudio di affreschi di Pietro Grano, marmi mischi e originali decorazioni pittoriche inserite in un apparato di finte architetture. Il restauro delle panche dell’oratorio è stato finanziato anche con il contributo le Vie dei Tesori.

Sentir risuonare la campana della chiesa madre è stata una vera emozione e non soltanto per gli anziani di Calatafimi Segesta: si è trattato di un processo di restituzione della memoria e di senso della comunità. Il progetto di restauro dell’antico orologio e della campana della Matrice, è stato presentato dal Comune di Calatafimi, vincendo il primo Premio Borghi dei Tesori, lanciato dall’Associazione Borghi dei Tesori, sotto l’egida della Fondazione Le Vie dei Tesori, nato con l’intento di promuovere progetti di rigenerazione urbana che coinvolgano le comunità. Sono arrivati in tutto 18 progetti e il comitato scientifico dell’associazione ha scelto quelli di Calatafimi Segesta e di Cap 96010 di Portopalo (comuni che hanno partecipato al Borghi dei Tesori Fest 2022), il primo erogato dalla stessa associazione, il secondo sostenuto dalla Fondazione Sicilia. L’orologio della Matrice di Calatafimi è stato per secoli punto di riferimento dell’intera comunità, le sue lancette erano ferme per decenni, la campana silenziosa: ora è tornato alla vita, grazie al progetto della parrocchia San Silvestro Papa, realizzato dalla ditta Manutentori del tempo di Danilo Gianformaggio, affascinante figura di orologiaio contemporaneo. Nato dalla storica azienda Uscio di Genova, di cui reca ancora il nome inciso, l’orologio è realizzato con pezzi lavorati a mano in ferro battuto, incastonati in un telaio a castello. L’illuminazione a led lo rende visibile da lontano.

Vecchi magazzini di pescatori si trasformano in opere d’arte, diventando sede di eventi per una rinnovata area di interesse turistico e culturale; ma soprattutto stanno riuscendo a riunire la comunità marinara attorno ad un progetto identitario. A Portopalo di Capo Passero è in corso un bellissimo intervento di rigenerazione urbana – proposto dall’associazione Cap 96010 di Alessandra Fabretti – che ha vinto il primo Premio Borghi dei Tesori, lanciato dall’Associazione Borghi dei Tesori, sotto l’egida della Fondazione Le Vie dei Tesori. Due i progetti premiati, questo di Portopalo di Capo Passero e l’altro di Calatafimi Segesta (due comuni che hanno partecipato al Borghi dei Tesori Fest 2022), erogati dall’associazione dei Borghi e dalla Fondazione Sicilia. Trompe l’oeil, murales, stencil, decorazioni e installazioni con materiale riciclato per dare una nuova identità alla zona del porto peschereccio: i prospetti e i muri dei vecchi magazzini dove venivano ricoverate barche in disuso, reti o utensili dei pescatori, sono diventati vere e proprie tele en plein air dove ragazzi diversamente abili, donne e artisti del luogo hanno messo alla prova la loro creatività. Finora sono nati tre murales, ma altri sono in procinto di essere disegnati e colorati: e c’è già chi pensa di aprire attività in una zona finora profondamente abbandonata.