E’ la chiesa dedicata alla patrona, ma lo è soltanto dal 1624 quando i bivonesi, convinti di essere stati preservati dalla peste per intercessione della santa, la proclamarono patrona, e ampliarono una piccola chiesa che le era stata fino a quel momento consacrata. Molte le opere commissionate dalla Confraternita, ma di mano ignota: un Crocifisso ligneo della prima metà del XVI secolo, il portale barocco, intagliato della fine del XVII secolo, una tela con S. Giuseppe col Bambino, una tela sempre del ‘700 con l’Incoronazione di Santa Rosalia (attribuita alla bottega dei Manno), due dipinti che raffigurano La Buona Morte e La Cattiva Morte (1867), attribuibili al pittore di Santo Stefano Quisquina, Federico Panepinto. Ma la principale opera d’arte della chiesa e dell’intera comunità bivonese è il fercolo con la statua di Santa Rosalia, commissionati nel 1601 dai rettori della Confraternita allo scultore don Ruggero Valenti, già ottantenne, per sostituire la vecchia statua ed il suo fercolo che per la sua antichità è rutta, corrosa e camolata. Di recente la statua è stata assegnata a Salvatore Passalacqua. Sulla base poggiano quattro scenografiche colonne ricoperte da elementi del mansionario tardomanierista delle “grottesche”: mascheroni, animali fantastici, figure femminili con il busto che si perde in tralci vegetali, figure alate a metà tra angeli e cariatidi, puttini in atteggiamenti insoliti. Il fercolo si conclude con una cupola dall’originale e raro traforo, con 16 campanellini in argento, realizzati nell’800, da un argentiere di Palermo, con intenti scaramantici: il loro suono aveva il compito i allontanare gli spiriti maligni.
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Santa Rosalia venerata e patrona tra “grottesche” e scaramanzia