◉ AMBIENTE

Dopo 50 anni torna a nidificare sulle Madonie l’avvoltoio degli Egizi

A Isnello è nato un piccolo esemplare di capovaccaio, specie a rischio critico di estinzione in Italia. Il ritorno del rapace è stato favorito anche dalla presenza di un carnaio, alimentato con carcasse selezionate dal Parco delle Madonie. L'evento rappresenta un importante successo per la conservazione della biodiversità e un segnale incoraggiante per le future politiche ambientali del Parco

di Redazione

22 Luglio 2025

È il più piccolo tra gli avvoltoi europei, tornato a popolare le Madonie dopo un’assenza lunga 50 anni. Il capovaccaio, noto anche come “avvoltoio degli Egizi”, specie in pericolo di estinzione in Italia, con una presenza stimata di appena 4-5 coppie, concentrate soprattutto in Sicilia, è tornato a nidificare sulle montagne del Palermitano. Ad annunciarlo la Fondazione Internazionale Biodiversità del Mediterraneo, impegnata in un progetto di tutela del rapace nell’Isola. Lo scorso giugno – fanno sapere dalla Fondazione – è nato un pulcino da una coppia che si era insediata nell’area nel 2024 e che quest’anno è tornata riuscendo a portare avanti la nidificazione. L’involo del giovane e previsto ad agosto.

Il nido di Isnello col nuovo nato (foto Matteo Orlando)

La documentazione di questo evento, che rappresenta un successo per la conservazione della biodiversità, è stata possibile grazie al costante monitoraggio degli esperti della Fondazione, di Antonio Onorato, presidente dell’associazione Verdi Aquile Madonite, e del giovane fotografo naturalista madonita Matteo Orlando, autore di un recente libro fotografico dedicato alla fauna e flora delle Madonie.

È stata fondamentale la presenza del carnaio realizzato in località “Terra dei Poveri”, a Isnello, gestito congiuntamente dalla Fondazione e dall’Associazione Verdi Aquile Madonite. Grazie alle forniture di daini e cinghiali provenienti dai piani di abbattimento selettivi del Parco delle Madonie, il carnaio – nato per sostenere il progetto di reintroduzione del Grifone (Gyps fulvus) – ha attirato nel 2024 alcuni capovaccai, favorendo così la formazione della nuova coppia che oggi segna questa straordinaria rinascita.

Alcuni esemplari di capovaccaio (foto Matteo Orlando)

Il capovaccaio prende il nome dall’abitudine di aggirarsi a terra tra il bestiame, ed è soprannominato anche “avvoltoio degli egizi” perché la sua sagoma stilizzata faceva parte dell’alfabeto geroglifico, rappresentando il primo segno fonetico, con pronuncia “ah”.

Il rapace – il cui nome scientifico è Neophron percnopterus – in Italia ha un notevole valore ambientale ed ecologico. In Italia sono state censite soltanto poche coppie nidificanti, a fronte delle circa 50 presenti fino agli anni ’70 del Novecento. La Sicilia rappresenta la regione con il maggior numero di coppie (tra cinque e sei). Nelle Madonie fino agli anni ’80 il capovaccaio era presente e nidificante, mentre attualmente viene soltanto avvistato sporadicamente, fino alla nascita di questi giorni.

Primo piano di un esemplare di capovaccaio (foto Andrea Cairone)

“Questi uccelli sono necrofagi e purtroppo trovano la maggior parte delle carcasse lungo le strade, di solito animali abbattuti dalle automobili. Il rischio per questi rapaci è quindi molto alto e la funzione dei carnai è molto importante sia per fornire alimento continuo sia per tenerli lontani dai pericoli”. Lo spiega Bruno Massa, biologo, già docente di Zooecologia e biodiversità e Biologia animale alla Facoltà di Agraria dell’Università di Palermo, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Internazionale Biodiversità del Mediterraneo. “Il fatto che dopo 50 anni il capovaccaio sia tornato a nidificare sulle Madonie – prosegue – dipende soprattutto dal rifornimento continuativo del carnaio di Isnello. Daini e cinghiali sono cresciuti in modo esponenziale dentro il Parco, causando danni ingenti alla vegetazione; purtroppo da alcune settimane i loro abbattimenti selettivi dentro il Parco previsti da un apposito programma sono stati sospesi. Se non riprende il rifornimento del carnaio, i necrofagi allo stato selvatico avranno sicuramente delle difficoltà”.