Gli stucchi di Serpotta, lo “scultore degli angeli”
Un documentario del 1957 racconta l'opera dell'artista che decorò chiese e oratori barocchi con uno stile aperto alle suggestioni del tempo
di Emanuele Drago
2 Aprile 2020
Una straordinaria descrizione dell’opera di Giacomo Serpotta è stata fornita da un documentario del lontano 1957 realizzato dal toscano Aldo Franchi. In fondo, tra i numerosi fiumi di parole che sono stati spesi su Serpotta, ritengo che questo resoconto dal titolo “Lo scultore degli angeli”, per l’immediata pregnanza, sia tra più belle descrizioni che si siano state scritte. E l’importanza di questo lavoro è anche legata al fatto che sembra anticipare gli stessi studi di Donald Garstang, il grande storico dell’arte statunitense, naturalizzato inglese, che fece degli stucchi di Serpotta un focus privilegiato per i suo lavoro; tanto che, dopo il primo viaggio in Sicilia datato 1976, otto anni dopo, esattamente nel 1984, diede alle stampe a Londra ed in inglese il suo più famoso volume su Giacomo Serpotta (“Giacomo Serpotta and the Stuccatori of Palermo 1550-1790”).
Franchi, già in questo articolo, afferma come siano diversi i nomi che si fanno comunemente come maestri del Serpotta. Poi, sempre facendo riferimento agli stucchi del Serpotta, aggiunge come “qualcuno potrebbe cogliere in alcune statue l’influenza del Bernini e nei bassorilievi l’influenza del Gagini, ma far ciò sarebbe opera di mera eduzione. Infatti, se Bernini è il magnifico principio, di un’arte estranea ai gusti accademici, ai freddi arcadici motivi del secolo del Barocco; Serpotta – osserva il giornalista – indubbiamente, ne rappresenta la geniale conclusione”.Dopo questo puntuale preambolo di carattere generale, Franchi entra nello specifico, analizzando in maniera dettagliata le figure che costellano il mondo serpottiano. Infatti, arriva ad affermare che “le figure del suo mondo artistico, Serpotta le coglie per la via, alla Kalsa, il quartiere in cui è nato. Le madri e le fanciulle, che spesso sono allegorie di santi, ci evidenziano come il Serpotta sia sensibile alla vitalità, alla purezza dei sentimenti più semplici e casti….”. Ma poi, oltre alla strada, descrivendo il mondo serpottiano, Franchi mette in evidenza un’altra relazione, affermando che “nei suoi oratori talune statue allegoriche, come la Carità, richiamano alla mente alcune statue dei greci. Tuttavia, oltre a questo aspetto, non si può non ravvisare un altro momento dell’arte del Serpotta. Infatti, per queste allegorie, l’autore ha posato lo sguardo sulle dame palermitane della società elegante e aristocratica del Settecento”.Infatti, continua minuziosamente e quasi prosasticamente il noto giornalista toscano, a conferma di quanto affermato sopra: “Negli oratori c’è odore di cipria, fruscio di sete, area di teatro e di provvisorio, secondo il gusto dell’epoca. L’eloquenza dello stuccatore tocca toni raffinati; ha un suo tempo bloccato in forme squisite. Tra pizzi e merletti, l’artista rende sontuose le vesti e arricchisce i panneggi. E il carattere barocco della scultura, altrove quasi assente, si accentua con eleganza estrema, senza tradire il consueto equilibrio”. Ma alle influenze socio-culturali che caratterizzarono l’opera del nostro grande Giacomo, Franchi aggiunge considerazioni sia estetiche, sia di carattere tecnico, affermando come non vi sia però “imitazione in questa rappresentazione plastica piena di vita, la quale mantiene la materia nell’equilibrio della più felice arte statuaria… il Serpotta lavorò di getto, risolvendo ogni tema che si presentava, con particolare estro e fantasia. Perché lo stucco, facile a solidificarsi, non ammette errori, ma anzi una immediata perfezione”.Ora, c’è una parte del resoconto, certamente la parte più emozionante, il cui Franchi riesce a cogliere perfettamente la grande rivoluzione che Serpotta compì in riferimento alle figure dei putti. Una rivoluzione artistica che portò il cronista ad affermare che “se è vero che il Serpotta è il grande interprete della donna, dove la sua arte appare insuperata, è nella rappresentazione dell’infanzia, nelle gioiose composizioni degli angeli, che scolpì in mille modi, in mille atteggiamenti. Sia nell’oratorio Lorenzo, sia nell’oratorio di Santa Cita e San Domenico, osservando i suoi putti, – prosegue il giornalista – già si vola in un mondo sorprendente. Se ne trovano ovunque: sui pilastri, sulle colonne, sugli aggetti. E sono putti allegri, pronti allo scherzo, imbronciati, impauriti, che partecipano alle vicende dei santi, o che chiedono qualcosa alle virtù. A volte sono angeli, altre volte bambini senza ali. Ma il Serpotta li fa volare ugualmente. Perché in quell’età della gioia, non c’è distinzione: sono tutti uguali”.*Docente e scrittore