Pantalica: paradiso verde tra canyon, grotte e misteri

Pronto un piano per rilanciare uno dei siti archeologici più antichi del Mediterraneo. Saranno riqualificati i sentieri e migliorati i servizi

di Antonio Schembri

12 Giugno 2020

Natura e storia millenaria. Per un sito come Pantalica, paradiso nel verde protetto da due fiumi e eclissato dietro una coltre di mistero, questa combinazione è un paradigma. Nell’entroterra a 30 chilometri dalla costiera di Siracusa, l’Anapo – nome che in greco antico significa invisibileperché in molti tratti del suo percorso questo fiume scompare nel sottosuolo – ha inciso, con il suo affluente Calcinara, spettacolari canyon nella roccia calcarea. Ed è in quest’area incastonata nell’altopiano ibleoche, secondo gli storici, nacque la cosiddetta “civiltà di Pantalica”, la comunità sviluppatasi a partire dal XIII secolo avanti Cristo, durante l‘Età del Bronzo, con l’insediamento di popolazioni costrette a tenersi distanti dai litorali per via delle incursioni di genti che arrivavano dal mare.

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Tombe rupestri (foto Paolo Cavarra)

Uno dei siti archeologici più antichi del mondo mediterraneo, di cui ancora poco si conosce. E dove, a detta degli archeologi, un’ipotetica campagna di scavi potrebbe scoperchiare chissà quante sorprese sui probabili contatti intercorsi tra indigeni e civiltà pre-ellenistiche, come quella cretese e la micenea. Con la Valle dell’Anapo e la Cava Grande del Calcinara, Pantalica fa parte dal 1997 della quarta Riserva più estesa della Sicilia (3.700 ettari) e dal 2005, anche del Patrimonio dell’Umanità tutelato dall’Unesco. Un luogo unico e complesso che, a detta di guide e tour operator, non ha finora mai giovato di una organica programmazione di interventi per valorizzarlo sul fronte del turismo culturale, né di una promozione turistica adeguata al suo prestigio.
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Indicazioni turistiche

In linea con la recente ripresa delle attività outdoor, l’Azienda Foreste ha avviato dal 3 giugno la pulizia dei sentieri di Pantalica. E adesso annuncia anche un piano per migliorarne la fruizione. Saranno le risorse del Fesr (il Fondo europeo per lo sviluppo regionale) afinanziare gli interventi per migliorare la sicurezza dei sentieri e di avviare riparazioni sui manufatti ristrutturati anni addietro grazie alle progettazioni, portate avanti in un arco temporale di 18 anni da due Gal (gruppi di azione locale): il Val d’Anapo, poi diventato Agenzia di sviluppo degli Iblei e l’omologo Gal Natiblei. Queste operazioni consentirono in particolare la conversione in pista per la mobilità lenta del sedime della ex ferrovia a scartamento ridotto Siracusa-Ragusa-Vizzini,  che attraversa la riserva per 13 chilometri, il recupero di alcuni caselli, uno dei quali adibito a museo della civiltà contadina e della Villa delle Rose, caseggiato nobiliare ubicato nel mezzo dell’area protetta, destinato a ospitare convegni scientifici ma mai utilizzato.
Pantalica (foto Giulio Giallombardo)

Vegetazione della riserva (foto Giulio Giallombardo)

Manufatti che oggi attendono finanziamenti per nuovi interventi per non farli scivolare di nuovo nel degrado da cui vennero salvati. Lo stesso vale per le necessarie riparazioni della copertura wi-fi a banda larga della riserva di Pantalica e della Valle dell’Anapo: un’infrastruttura indispensabile per la crescita di un turismo escursionistico da praticare in sicurezza. “Valorizzare un eco-contesto come quello di Pantalica è un passaggio strategico nell’attuale fase in cui si sta registrando un incremento di nuove modalità di turismo ‘plein air’ che richiedono servizi integrati”, dice Sebastiano Di Mauro, direttore del Gal Natiblei. “L’importo attualmente richiesto ammonta a 600mila euro”, specifica Giancarlo Perrotta, dirigente dell’ufficio provinciale dell’Azienda Foreste, che aggiunge: “Stiamo intanto mettendo a punto nuove modalità d’accesso in riserva per evitare assembramenti agli ingressi (per file di singole persone e con la rilevazione della temperatura corporea). Contiamo di mandare a regime l’attività a partire dal 1 luglio”.
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Anaktoron

Le vestigia di Pantalica, l’antichissima Hybla, vennero alla luce con gli scavi condotti da Paolo Orsi tra il 1895 e il 1910 e ripresi a metà del secolo scorso da Luigi Bernabò Brea. Su tutte l’Anaktoron, la residenza del leader della comunità, comunemente indicata come il Palazzo del Principe, di cui sono visibili solo le pietre megalitiche del basamento. Le attrattive più iconiche rimangono però le 5 necropoli rupestri, con il fitto alveare di grotte scavate lungo i costoni di roccia calcarea: qualcosa come 5mila cavità, utilizzate come tombe. Un numero mai definitivamente accertato. A prendersi la briga di catalogarle è stato di recente l’archeologo scozzese Robert Leighton. Ne ha censito 3.300, ammettendo però la parzialità della sua ricerca, che non è riuscita a includere i tanti altri “buchi” coperti dalla vegetazione e quelli trasformati in abitazioni durante la colonizzazione bizantina.
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Necropoli rupestre

Furono gli arabi a ribattezzare quest’area col nome di Buntarigah, che vuol dire appunto “grotte”. “Pantalica è l’emblema della monumentalizzazione della morte – spiega Paolo Uccello, decano tra le guide naturalistiche siracusane – . Per gli indigeni dei tempi remoti, scavare tombe sulle falesie appesi a corde dovette comportare grossi rischi da affrontare, come avvenne per le piramidi egizie o il sito di Stonehenge, con l’altissimo livello di sacralità riconosciuto a quanto percepito come senza rimedio”. Però, aggiunge, “Pantalica non celebra solo il ‘regno dei morti’. Le sue rupi, i boschi e le acque cristalline dell’Anapo costituiscono un vivido scenario colmo di storia, misticismo e leggende, proprio perché venne abitato a lungo, abbandonato per secoli e colonizzato di nuovo, come testimoniano le tre chiesette bizantine di San Nicolicchio, San Micidiario e del Crocifisso”.
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La Grotta dei Pipistrelli (foto Giulio Giallombardo)

Un luogo da scoprire a piedi o in bici. Gli appassionati di trekking (ma anche di trail running e nordic walking) possono contare su una sentieristica di 8 tracciati, di cui 5 segnalati, che collegano la parte bassa con quella alta della vallata (dove si concentrarono gli antichi insediamenti). Tra questi molto belli sono quello della Schiena d’Asino che dall’ingresso di contrada Fusco, sotto Sortino, fiancheggia il panorama della vallata e incrocia la deviazione verso la Grotta dei Pipistrelli, “area frequentata dagli appassionati di arrampicata – indica Paolo Cavarra, guida turistica locale – . Così come i saliscendi del sentiero che, entrando da Sortino, segue il corso del Calcinara, guada il torrente, risale sul versante di Ferla, dove si incontra l’Anaktoron, per poi tornare a scendere in direzione della ferrovia e risalire verso la necropoli di Filiporto”.
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Percorso cicloturistico

Anche se il caldo è un ostacolo, l’estate è la stagione ideale per scoprire la riserva. Anche con l’acqua trekking. “Si tratta di escursioni dentro la riserva alternando tratti a piedi dentro e fuori dall’acqua con momenti di canyoning su alcune pareti sopra il fiume”, riprende Cavarra. Gli scenari dell’area sono appetiti anche dagli appassionati di mountain bike. Tra i tracciati pedalabili il più interessante inizia a est di Ferla dove si trova un centro della Forestale in cui anni addietro funzionò un servizio di noleggio biciclette, presto smantellato e attraversa la parte alta della valle con il bosco di Giarranauti.
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La necropoli di notte (foto Pietro Columba, Wikipedia)

Si tratta di un percorso ad anello che consente di arrivare al canyon di Fiumara, in direzione di Sortino, percorribile per intero fino all’uscita sulla strada che unisce questo piccolo centro, famoso anche per la produzione del miele ibleo narrato da Tucidide, a Buccheri. Giù a valle, scenografico ma molto più semplice per la pendenza quasi nulla, è lo stesso sentiero della ferrovia dismessa. Data la presenza di diverse gallerie, alcune molto brevi altre lunghe centinaia di metri, condizione necessaria è però munire la bici di fari e lampeggianti.
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Chiesa del Crocifisso

La riserva è un grande contenitore di specie botaniche. Dal Platano Orientale, albero diffuso tra Grecia e Turchia e di cui Pantalica costituisce l’areale più a ovest del bacino Mediterraneo a endemismi come la urtica rupestris, un’ortica classificata come relitto glaciale, il trachelium lanceolatum, pianta campanulacea di colore viola e ben 40 delle sessanta specie di orchidee complessivamente presenti in Sicilia. Riguardo alla fauna, il corso dell’Anapo è il regno della trota macrostigma, pesce che si distingue per grossi punti scuri che ne pigmentano la livrea. Ma questo ecosistema accoglie anche specie ornitologiche come il codibugnolo, minuscolo passero endemico del territorio siciliano, il rarissimo Falco Lanario e, recente novità, il Picchio Rosso maggiore, tornato tra i boschi di Pantalica dopo essere scomparso per molto tempo. Altra “chicca”, le libellule. Il librarsi di questi insetti sulla superficie del fiume, con i loro colori rosso, blu e nero, segna l’inizio dell’estate.