Selinunte, il grano va a nozze con la storia

Al via la mietitura all’interno del Parco archeologico, il raccolto servirà a produrre semola per cous cous, farina, pasta ed anche legumi

di Giulio Giallombardo

26 Luglio 2018

Una festa del grano all’ombra dei templi. E’ il “Selinunte Day”, che ha dato il via alla mietitura all’interno del Parco archeologico. Un rito antico che guarda al futuro, perché il grano raccolto servirà per produrre semola per cous cous, farina e pasta con il logo del Parco. Ben nove ettari di grano duro siciliano, della varietà Russello, Tumminia, Perciasacchi e l’antichissimo Monococco, ritrovato all’interno della Grotta dell’Uzzo, uno dei più importanti siti preistorici della Sicilia, nella Riserva dello Zingaro.Ma la produzione non riguarda solo il grano, perché quest’anno, protagonisti saranno anche i legumi, con ceci della varietà Sultano e Pascià, e anche lenticchie seminate per oltre un ettaro di terreno. La raccolta, tra grano e legumi, interessa complessivamente ben 10 ettari di terreno. Un vero e proprio valore aggiunto, fiore all’occhiello di una delle aree archeologiche più grandi d’Europa.Quello appena celebrato è un vero e proprio matrimonio tra agricoltura e archeologia. Da un lato, l’esaltazione del legame con la terra e i suoi frutti, dall’altro la presentazione dei nuovi “tesori” dell’antica Selinus. L’archeologo Clemente Marconi della New York University e della Statale di Milano, ha illustrato i risultati dell’ultima campagna di scavi che si è conclusa pochi giorni fa. “Sono state portate alla luce – spiega – due nuove installazioni cultuali in prossimità del Tempio R con materiale votivo. Si tratta di una struttura rettangolare e una circolare, subito davanti alla fronte del Tempio R, con associata abbondante ceramica locale e d’importazione risalente alla prima generazione di vita della colonia greca, oggetti di ornamento personale in bronzo e un frammento di un idioletto femminile in terracotta”.Ha puntato invece sul legame tra cibo e storia, il direttore del Parco archeologico di Selinunte, Enrico Caruso: “Recuperare ciò che hanno mangiato i nostri antenati non sarebbe male – ha affermato – . La logica è quella di fare del vasto e  grande territorio selinuntino un’azienda che produca. Il paesaggio agricolo che noi riportiamo nuovamente al centro dell’attenzione ci consente di dare a Selinunte la cornice giusta, tra archeologia e agricoltura”.