Un tributo alla “Santuzza” di Palermo
Nel giorno solenne della “acchianata” al santuario, si inaugura una mostra a Palazzo Reale con opere provenienti dalla Lombardia, Campania e anche Siviglia
di Federica Certa
4 Settembre 2018
Se il Signore di Castiglione delle Stiviere non avesse sposato una nobile palermitana, forse uno dei capolavori di Pietro Novelli, maestro indiscusso del Seicento italiano, non esisterebbe. E invece il nobile lombardo aveva incontrato il pittore siciliano a Palermo, intorno al 1630, e gli aveva commissionato una pala d’altare destinata alla chiesa dei Santi Nazario e Celso, come ex voto per la guarigione dalla peste che aveva afflitto i suoi domini agli inizi del XVII secolo. Nasceva così “Santa Rosalia scende dal cielo tra gli appestati”, maestoso, drammatico tributo alla “santuzza” pellegrina ed eremita, che, poco dopo la consacrazione a patrona di Palermo, nel 1624, aveva distillato la sua devozione anche in Lombardia, Genova, Pisa, Venezia, Napoli, Amalfi, ambasciatrice di prodigi, icona di un culto che valicava i confini dell’isola. Lo testimonia anche l’angelo alato, sulla sinistra del dipinto di Novelli, che espone un cartiglio e certifica le candide certezze del popolo: è la giovane palermitana, rivoluzionaria nella rinuncia, temeraria nel rifiuto, la protettrice dalla peste, ovunque essa si manifesti.La “Rosalia” di Novelli è una delle rappresentazioni della Santa che – dopo un’ampia ricognizione tra collezioni pubbliche e private – sono state raccolte, insieme ad altri 37 dipinti, 7 disegni preparatori, 3 sculture, argenti e vari documenti d’epoca, nella mostra Rosalia eris in peste patrona. L’esposizione – organizzata dalla Fondazione Federico II con l’Assemblea regionale siciliana, l’assessorato ai Beni culturali e all’Identità siciliana, il Centro per il restauro e l’Arcidiocesi di Palermo – si inaugura questo pomeriggio alle 18 a Palazzo Reale, in una rinnovata Sala Duca di Montalto, e resterà in allestimento fino al 5 maggio. Rosalia torna dunque alla corte di Ruggero, nei luoghi che la videro bambina e poi donna. Un omaggio alla protettrice dei palermitani e agli artisti che l’hanno celebrata – da Simone de Wobreck ad Anton Van Dyck, che durante il suo soggiorno a Palermo raffigurò la Santa in un ciclo di tele oggi custodite nei musei più prestigiosi del mondo, da Novelli a Vincenzo La Barbera, da Teodorio Vallonio a Matteo Preti – nel giorno solenne, il 4 settembre, della tradizionale acchianata al santuario di Monte Pellegrino, perfetto controcanto popolare al tributo laico, mediato dall’ispirazione, dal genio e dalla luce, di artisti famosi in tutta Europa. Tanti gli enti pubblici e i collezionisti privati che hanno “prestato” le opere per realizzare un allestimento originale nell’idea di fondo e nei contenuti: tra gli altri, Palazzo Abatellis, il museo diocesano e il Santuario di Montepellegrino, a Palermo, il Museo nazionale di Capodimonte, a Napoli, la Fundaciòn Casa de Alba, di Siviglia, chiese del Comasco e del Mantovano. Dietro ogni immagine, una storia di viaggi e di preghiere, di sodalizi nell’arte e nella fede, che raccontano anche di un legame antico, per certi versi inedito, lungo cinque secoli, tra la Lombardia e la Sicilia, terra di accoglienza e non di migrazione, punto di arrivo e non di partenza. Tanto che nell’Alto Lario, a nord del Lago di Como, si usava l’espressione “fare Palermo” per indicare chi aveva trovato fortuna al di là dello Stretto.
Ma non c’è soltanto Rosalia nel percorso espositivo, articolato in quattro sezioni: si parte infatti con la prima, dedicata al capoluogo palermitano e ai possedimenti, all’epoca denominati “nazioni” – la più influente, proprio quella dell’alta Padania – che con Palermo intrattenevano intensi rapporti diplomatici e culturali. Poi la seconda sezione, che affronta il tema dei santi taumaturghi – Sebastiano, Rocco, Carlo Borromeo – e della peste del 1575, mentre la terza è una sorta di antologia della vita e delle opere di Rosalia Sinibaldi, donna coraggiosa e anticonformista, poi santa, canonizzata da papa Urbano nel 1630. La quarta sezione, infine, documenta la diffusione del culto, attraverso pale d’altare e urne reliquiarie commissionate a Novelli e Van Dyck. “Questa mostra ha anche un significato politico – ha dichiarato il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè – perché oggi, come allora, a Rosalia chiediamo un miracolo: guarirci dalla peste dell’odio, della cattiveria, del razzismo”. Si è detto “stupefatto” del risultato, l’assessore ai Beni culturali Sebastiano Tusa, che ha sottolineato “il lavoro di squadra dei diversi dipartimenti regionali e l’ammirevole equilibrio dell’allestimento, dove l’aspetto religioso incontra quello storico e artistico”.“Riappropriarsi della figura di Santa Rosalia – ha detto la direttrice della fondazione Federico II, Patrizia Monterosso – rappresenta un’urgenza per stimolare la ricerca, nel nome di quell’articolo 9 della nostra carta costituzionale che promuove lo sviluppo e della cultura e la tutela del patrimonio”.
“Per secoli – ha commentato l’arcivescovo monsignor Corrado Lorefice – la città aveva cercato una santa che incarnasse nella propria storia un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, senza però riuscire a trovarla”. Con Rosalia si compiono dunque uno, due, tre miracoli: la guarigione dal morbo malefico, il ritrovamento delle ossa, scoperte nel 1624 dal saponaro Vincenzo Bonelli, la genesi di una fede che unisce, invocazione spontanea che germoglia ogni anno, nella notte del Festino.La mostra “Rosalia eris in peste patrona” è l’appuntamento principale di un ciclo di iniziative promosse per festeggiare la riapertura – dopo tre secoli di “amnesia” e un restauro durato, a fasi alterne, dieci anni – del Portone monumentale Vice Regio del Palazzo Reale, su piazza del Parlamento, a partire da oggi, alle 18. Seguirà alle 21 lo spettacolo teatrale “R”, di e con Salvo Piparo. Il prospetto principale della corte che vide sorgere e brillare l’astro di Federico II, decorato con un ricamo di bugne seicentesche, rinasce così a poche decine di metri dal Cassaro, patrimonio Unesco dal 2015.E introduce i visitatori al nuovo percorso artistico nel ventre del Palazzo e ai suoi tesori: il book-shop rivisitato, la croce di consacrazione rossa e nera collocata su un muro all’esterno della chiesa inferiore della Cappella Palatina, l’affresco della Madonna del Rosario con S. Domenico e S. Francesco. La parte più suggestiva è senz’altro il tratto, chiuso nel 1930 e oggi riaperto, che consente il passaggio diretto al cortile Maqueda, restituendo parte dell’originario percorso di accesso alla chiesa Santa Maria delle Grazie, simbolo della sintesi architettonica fra civiltà occidentale e orientale, nella Palermo dei Normanni. Il percorso aprirà definitivamente al pubblico domani, tutti i giorni dalle 8.15 alle 17.40. Il 6 e 7, poi, in programma due “notti bianche”, con visita alla mostra e agli spazi ritrovati; dalle 21 alla mezzanotte, sulla facciata del Palazzo, si incroceranno luci e visioni della performance di videomapping dal titolo “Al-Qasr”. Tutte le informazioni su www.federicosecondo.org.