Turismo e beni culturali, croce e delizia della Sicilia
Esponenti delle istituzioni ed esperti del settore si sono confrontati all'Orto Botanico di Palermo sulle nuove strategie per il rilancio dell'Isola
di Antonio Schembri
30 Gennaio 2020
Se l’economia della Sicilia non può basarsi solo sul turismo, quest’ultimo può comunque essere uno degli ambiti principali su cui impostare il suo modello di sviluppo. Sicuramente il più interessante e tra quelli in grado di generare posti lavoro per le nuove generazioni che scelgono di restare o di tornarvi. Occorre però cambiare strategie per attirare e trattenere più a lungo un modello di turista delineatosi negli anni sulle caratteristiche di quello straordinario “forziere” di beni culturali e tesori naturalistici che è l’isola più estesa del Mediterraneo. Ovvero un visitatore che esplora il territorio, a partire dalla sua enogastronomia, si appassiona alle antiche tradizioni recuperate e ama immergersi nel verde e nel mare straordinario della Sicilia.
Alta attrattività e densità turistica: obiettivi raggiungibili a condizione che si avviino sinergie tra pubblico e privato: il tanto evocato ma ancora poco o per nulla attuato “fare rete” tra istituzioni, operatori e imprese attraverso “best practice” capaci di utilizzare e valorizzare il grande capitale umano della regione. Su questa tematica si sono confrontati ieri nella sala conferenze dell’Orto Botanico di Palermo (dedicata a Domenico Lanza, tra i pochi professori italiani a rifiutare la sottomissione al regime fascista) operatori della cultura, i responsabili dei due maggiori aeroporti siciliani e l’assessore regionale al Turismo. Si è trattato del primo appuntamento del ciclo “TerraMatta”, organizzato da CulTurMedia, costola culturale di LegaCoop. Un’occasione per illustrare traguardi e prospettive del turismo siciliano. Ma anche le sue antiche e profonde lacune: quelle che identificano “un settore ancora acciaccato”, afferma Sebastiano Missineo, ex assessore regionale al Turismo nel biennio 2010-2012, oggi Ceo della società di marketing territoriale Strateghia.In Sicilia da 10 anni le statistiche non cambiano: 5 milioni di abitanti e 5 milioni di visitatori all’anno, che si trattengono per una media di 3 notti. “Per la sua dotazione di risorse culturali e naturalistiche, l’Isola potrebbe tranquillamente arrivare a 10 milioni di arrivi e 40 milioni di presenze annue. Se ciò non avviene vuol dire che qualcosa non va e va cambiato”. Va migliorato il cosiddetto storytelling, la narrazione, del territorio siciliano che, aggiunge Missineo, “non può limitarsi al racconto statico dei pannelli negli aeroporti”. E vanno realizzate anche altre forti scelte strategiche, che puntino al consolidamento delle risorse presenti.Il riferimento è ai 132 musei della Sicilia: numero eccessivo e dispersivo. “Occorrerebbe perciò – sottolinea il manager – puntare su un unico e grande museo regionale siciliano, capace di inglobare e raccontare la storia ultra millenaria dell’Isola, mettendo insieme opere come il Satiro Danzante, il Giovinetto di Mozia e la Dea di Morgantina”. Scultura, quest’ultima, che – ammette Missineo – “è stato un errore esporre nel museo di Aidone, a poca distanza dal luogo del suo ritrovamento, dopo averne ottenuto la restituzione dal Getty Museum di Malibu. Perché il museo del piccolo centro in provincia di Enna viaggia su medie non superiori ai 90 visitatori al giorno: pochissimi per giustificare la presenza di un’opera di quella rilevanza”.Ma quali nuovi paradigmi seguire per lanciare con più forza il turismo della Sicilia nel mercato mondiale? L’Otie, l’Osservatorio turistico delle isole europee ha recentemente elaborato un decalogo. “La Sicilia – dice il rappresentante regionale Giovanni Ruggeri, docente di economia del turismo – dovrebbe anzitutto raddoppiare il numero di notti vendute. Tra sistema alberghiero e extralberghiero, il sistema turistico siciliano riesce oggi a realizzarne 13 milioni (contro i 30 milioni notti l’anno delle Canarie) pur avendo un potenziale di 50 milioni di notti da vendere. Entro i prossimi 5 anni si dovrebbe arrivare anche da noi a 30 milioni di notti vendute”. Sarà possibile se – dice Ruggeri – si lavorerà per creare una nuova stagionalità, da novembre a marzo e per incrementare il tasso di fidelizzazione dei visitatori, ossia la motivazione a tornare in Sicilia, al momento stanziale sull’1,5 per cento. Tra gli altri punti salienti dello studio Otie, la necessità di aumentare di almeno il 50 per cento l’offerta dei posti su aerei diretti in Sicilia. Ma non è tutto: “Occorre lavorare sul concept dell’insularità e sul fatto che la Sicilia sia sede di ben 7 siti Unesco, ‘marchio’ ancora inutilizzato a scopo promozionale”, specifica Ruggeri.Stando sempre all’analisi dell’osservatorio, sono altresì indispensabili un piano di investimenti per i poli turistici e molte più forze sul campo: almeno 100 operatori incoming specializzati in prodotti turistici diversi e programmi di specializzazione per 10mila soggetti tra quelli che già lavorano nel turismo e i giovani laureati in questo settore. Ultimo ma non meno importante punto, la creazione di un’authority di coordinamento del turismo regionale che rediga un adeguato piano di marketing.Sono molti i nuovi turismi su cui anche la Sicilia può puntare con più decisione. Il turismo congressuale e quello medico, per esempio. “Smettiamola con la panzana che la bellezza salverà il mondo. La metafora va rovesciata: siamo noi a dover salvare la bellezza”, dice Paolo Inglese, direttore del Sistema museale d’Ateneo di Palermo, citando una recente frase del critico d’arte Salvatore Settis. “Ma a cosa valgono tali propositi se all’Ars viene presentato un emendamento con cui ripristinare l’edificabilità entro i 150 metri dalla costa? Il fatto è che – sottolinea Inglese – il turismo non è un osso da spolpare, ma un organismo da nutrire. Per questo l’Università di Palermo lavora in direzione di un sistema pubblico-privato basato sulla corresponsabilità e capace di mettere in relazione sistema agricolo e sistema turistico. Per ottenerlo servono competenze, che vanno formate”. Da qualche anno l’Ateneo di Palermo offre un corso di laurea magistrale in turismo e un master in management per l’ospitalità turistica e il settore del food and beverage, in collaborazione con la Florida International University di Miami.In Italia non mancano esempi cui ispirarsi sul mettere in rete agricoltura, cultura e turismo. Quello del Trentino Alto Adige, per esempio, dove il valore di una mela prodotta dal consorzio Melinda (16 cooperative per un totale di 4mila soci) si forma non sull’immagine del frutto, ma su quella di montagne, valli, laghi dolomitici. Lo storytelling del territorio, appunto. “In Sicilia, invece – riprende Inglese – raccogliamo i fallimentari risultati dei parchi regionali, dove non è stato ancora assunto neanche un laureato in scienze agrarie né un vero professionista del turismo. Valga come esempio, Piano Battaglia, sulle Madonie, dopo l’Etna tradizionale punto di riferimento degli sport invernali in Sicilia, ma fermo ancora nella condizione di 75 anni fa. Impianti chiusi, non un solo posto letto”.Una Sicilia “duale”, quella del turismo. A cominciare dal suo capoluogo. “Palermo – aggiunge Inglese – ha compiuto importanti passi in avanti dal tempo dei Vassallo, Gioia, Lima e Ciancimino, quando era una città senza identità, con un centro storico off limits”. Da quando nel 1967 l’Università di Palermo rilevò il Palazzo Steri, si è avviato un difficile percorso di ricucitura culturale nella Kalsa, il quartiere che rappresenta la porta d’ingresso di Palermo. Uno sforzo che punta a collegare in una rete di interessi e capacità comuni lo Spasimo, il Palazzo Butera, l’Abatellis, l’Oratorio dei Bianchi, i teatri della zona e l’Orto Botanico. Proprio quest’ultimo sito, il terzo più visitato di Palermo dopo il Palazzo Reale e il Teatro Massimo, ha fatto segnare nel 2019 168mila visitatori, l’8 per cento in più dell’anno precedente. Un dato che conferma il maggiore e crescente interesse del visitatore verso l’offerta turistica en plein air della Sicilia. Lo confermano del resto anche i dati di Siracusa, dove il Teatro Greco si attesta su 650mila visitatori mentre l’antistante museo archeologico non supera le 60mila presenze annue. E situazioni paradossali come, sempre a Siracusa, quella del Museo Bellomo, che qualche giorno fa ha chiuso una giornata con zero presenze.Al convegno dell’Orto Botanico si sono snocciolati anche i dati del traffico aereo in Sicilia. Gli aeroporti di Palermo e Catania, insieme, nel 2019 hanno fatto registrare 18 milioni di passeggeri: dato in crescita ma ancora lontano da quello delle Isole Baleari, dove il solo aeroporto di Palma di Maiorca fa 29 milioni di passeggeri, e quello di Ibiza 11 milioni. Paragoni che possono fuorviare, non foss’altro che per le differenze tra modelli di sviluppo turistico. “Il fatto certo però è che la Sicilia ha un grande potenziale turistico inespresso – dice Natale Chieppa, direttore generale della Gesap, l’ente di gestione dell’aeroporto Falcone e Borsellino – . I due principali aeroporti siciliani stanno funzionando anche come vetrina del territorio regionale. Ma, come affermava il generale Patton (che prese parte allo sbarco alleato in Sicilia e fu tra gli inventori della logistica, settore nato proprio a supporto delle truppe), le battaglie dell’aria, in questo caso quelle dei flussi turistici a bordo di aerei, si vincono a terra. Allora occorre accelerare sullo sviluppo di collegamenti rapidi e integrati tra i luoghi più attrattivi della Sicilia”. A cominciare da quelli tra i parchi archeologici siciliani, i siti più appetiti dal “turista-tipo” che giunge in Sicilia.I trasporti languono. Ma qualcosa, lentamente, si muove sul fronte ferroviario: “Nel 2025 avremo la tratta Palermo – Catania a doppio binario per treni di media velocità (quella economicamente più vantaggiosa per coprire poco più di 200 chilometri)”, dice l’assessore al turismo Manlio Messina. Riguardo ai collegamenti aerei – riprende Chieppa – “dal 21 maggio al 30 settembre Palermo sarà collegata con un volo diretto giornaliero a New York dalla United Ailines”. Resta il nodo della gestione dei rifiuti e del controllo sulle discariche abusive. Come le centinaia disseminate sulle pendici dell’Etna, sito Unesco.