I Quattro Canti tra cabala ebraica e numerologia

Il progetto urbanistico del quadrivio nel cuore della città si presta a diverse letture che incrociano suggestioni simboliche

di Emanuele Drago

14 Aprile 2020

C’è un luogo di Palermo, che ne costituisce poi anche uno dei suoi principali simboli, che può essere indagato con occhi nuovi, non solo da parte dei turisti che ogni anno visitano la città, ma soprattutto dagli stessi palermitani. Ci riferiamo ai Quattro Canti, il quadrivio di forma ottagonale – per questo anche indicato come ottangolo – che viene anche conosciuto come il Teatro del Sole, in quanto, nei diversi momenti della giornata, il sole illumina uno dei diversi quattro angoli.

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Scorcio dei Quattro Canti con Filippo II e Santa Ninfa

Questo quadrivio venne concepito dall’architetto fiorentino Giulio Lasso come un edificio costituito da quattro parti perfettamente uguali, poi conchiuso ed avvolto su se stesso e in cui non erano più distinguibili l’inizio e la fine. Orbene, le diverse quattro ali del palazzo, chiuso in un perfetto circolo, si slanciano in tre diversi ordini: sul primo ordine, al di sopra delle fontane, sono collocate le statue allegoriche delle quattro stagioni; nel secondo ordine le statue dei principali sovrani spagnoli (Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV); nell’ultimo ordine le statue delle quattro sante della città (Cristina, Ninfa, Oliva, Agata). Infine, alla sommità dei cantoni, quattro grandi stemmi a forma d’aquila.
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Antica piantina di Palermo con i quattro mandamenti

Fin qui nulla di diverso su quanto non sappiamo ormai da tempo, non solo grazie ai libri di storia dell’arte, ma grazie alle numerose guide turistiche. Ma c’è un aspetto dei Quattro Canti che vorremmo invece qui rimarcare e che venne approfondito e sviluppato in un testo specialistico del 1981, scritto dell’architetto Marcello Fagiolo e dal titolo “Il Teatro del Sole. La rifondazione di palermo nel Cinquecento e l’idea della città barocca”. Nel testo si evidenzia il fatto che i Quattro Canti, oltre a rappresentare il punto in cui ebbe inizio la rivoluzione urbanistica del Seicento, che trasformava la città bipartita d’impianto punico romano in città cruciforme (mediante l’apertura di una strada nuova, poi dedicata al duca Maqueda) sembrano anche chiamare in causa la Cabala della tradizione ebraica, che prevedeva la realizzazione ai confini della città celeste di quattro bastioni, uno per ogni lato, e altrettante porte.
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La città con le dodici porte

In buona sostanza, se si tiene conto della numerologia ebraica, nel progetto urbanistico la ricorsività del numero dodici (dodici porte e dodici bastioni) non era casuale, ma si rifaceva alle dodici tribù che avevano fondato la Gerusalemme Celeste; d’altronde, la sacralità del dodici era corroborata, anche nel caso di Palermo, dai suoi sottomultipli: il quattro (le quattro Virtù teologali) e il tre (la Santissima Trinità). Dunque: quattro mandamenti, che sostituivano i cinque originari del periodo arabo, e quattro bastioni per ogni lato del quadrato sui quali si aprivano altrettante porte civiche.
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I Quattro Canti

Il risultato di questo ardito disegno, che si ispirava al tardo Rinascimento o Manierismo romanico e fu, come già accennato, progettato dall’architetto Lasso, venne impreziosito poi dall’architetto palermitano Mariano Smiriglio, al quale spettò il gravoso compito di arricchirne gli ordini, i balconi e nicchie. E alla fine l’opera fu magnifica e sancì la nascita ordinata ed equanime dei quattro mandamenti, che si dipanano da questa splendida piazza che ancora oggi non può che lasciare a bocca aperta chiunque l’attraversi.*Docente e scrittore