“Una gaia casetta in via Papireto, all’ultimo piano, ariosa: quattro lucide stanzette col pavimento di mattoni di Valenza. Marta aveva trovato questa casa guidata da un lontano ricordo”. Questa è la descrizione che nel romanzo “L’esclusa”, Luigi Pirandello faceva della dimora palermitana della famiglia Ayala. Oggi viene un po’ da sorridere nel ripensare che proprio in quello stesso esatto punto si trovava alcuni secoli prima un’altra casa che nell’immaginario palermitano divenne altrettanto famosa. Posta al centro di un luogo malsano e maleodorante, secondo alcune leggende era stata utilizzata da molti mariti per far ammalare o sbarazzarsi delle rispettive mogli. Infatti, l’esposizione prolungata ai miasmi del fiume Papireto non lasciava scampo ai polmoni delle giovani mogli.

Vicolo di Colluzio
Ora, per una sorte di legge del contrappasso, proprio in quei paraggi – esattamente in via Gioiamia – quasi due secoli dopo la megera
Giovanna Bonanno aveva trovato a sua volta il rimedio per vendicare le molte mogli tradite dai mariti fedifraghi. Fu infatti in questa via che la donna nota come
la vecchia dell’aceto, acquistava, in un negozio, l’acido per pidocchi che avrebbe addizionato con l’arsenico. La leggenda vuole che il fantasma della stessa Bonanno – dopo la tragica esecuzione avvenuta nelle forche più alte issate ai Quattro Canti nel giugno del 1789 – la notte si aggiri ancora in vicolo de’ Colluzio, nel quartiere dell’Albergheria.Per chi non conosce nel dettaglio la storia della Bonanno, la cosa può apparire strana:
che ci fa infatti la vecchia dell’aceto all’Albergheria, visto che aveva sempre operato tra i quartieri della Zisa e del Noviziato? Ma c’è chi giura che non si tratti di un fatto per niente strano, in quanto le prime apparizioni – secondo la tradizione – avvennero fin subito dopo la sua condanna a morte, ed esattamente in prossimità della chiesa dell’
Annunziata alle Balate. In buona sostanza, c’è chi afferma che ella voleva impaurire gli “sbirri” che insieme al Santo Uffizio la condussero al patibolo e che proprio all’interno della chiesa dell’Annunziata avevano la propria confraternita.

Palazzo Molinelli di Santa Rosalia
Ma se la storia dei fantasmi avvistati a Palermo è essenzialmente stata declinata al femminile – basta ricordare la vicenda delle Sette Fate nell’omonima piazza o del fantasma della suora del Teatro Massimo e del palazzo Molinelli di Santa Rosalia – esiste tuttavia almeno un caso in cui
il fantasma avvistato non solo è un uomo, ma addirittura un sovrano, e per giunta di colore. Molti cronisti del tempo, lo indicarono come il fantasma del turco, termine con cui, nell’immaginario palermitano, si era soliti riferirsi non tanto agli abitanti della Turchia, bensì ai musulmani o alle persone di colore in generale.Dunque, secondo la leggenda – ma anche Folco di Verdura ce ne parla in “Estati Felici” – questo cosiddetto turco si aggirava in piena notte tra le stanze del
palazzo De Castillo dei Marchesi di Sant’Isodoro, in piazza Guilla. Ma qual era la vera identità di questo misterioso turco? E per quale motivo si aggirava proprio in quel palazzo? Ebbene, sembra che l’uomo non fosse altro che
il figlio del re di Tunisi Mulay Amida, ovvero Amida II, da alcuni indicato anche col nome di Ajajà. Quest’ultimo, a quanto pare, si era convertito al Cristianesimo, tant’è che il suo corpo prima di essere sepolto presso il cimitero dei Cappuccini, era stato conservato nel giardino di palazzo De Castillo, diviso dalla dimora signorile mediante un cavalcavia ancora oggi visibile. E d’altronde c’è chi ancora all’inizio del XIX secolo affermava che – così ad esempio fece Gaspare Palermo nella sua “Guida della città” – il corpo del sovrano di colore, mummificato in un angolo delle Catacombe, fosse proprio quello di Ajajà.

La suora del Capo
Ma a Palermo il tour per i “ghostbusters” potrebbe non limitarsi a queste storie. Ad esempio, potrebbe proseguire facendo una visita all’interno di
villa Caboto, a Mondello, oppure nella chiesa della
Madonna della Mercede al Capo. In questa chiesa infatti nel 2016, per uno strano effetto prodotto dall’umidità delle pareti del campanile,
sembrò affacciarsi una suora. C’è chi giura che ogni fenomeno, se razionalizzato, ha sempre una spiegazione. Ma c’è chi afferma anche il contrario: ovvero che le anime si avvalgono dell’astuzia della ragione per manifestarsi al mondo.Così a quanto pare, per chi crede a questa vicenda, sembra abbia fatto la donna di servizio di
casa Serenario, la quale dopo essere stata violata, fu costretta a farsi suora e da quel giorno ancora si affacci dal campanile della chiesa per scorgere la piccola figlia che abitava nel vicino palazzo in cui per anni aveva prestato servizio. Leggende – direte voi – come quella della
suora del teatro Massimo, che per vendicarsi dell’abbattimento del monastero di San Giuliano e delle Stimmate, o della profanazione della sua tomba, di tanto in tanto si diverte a sgambettare, davanti al primo gradino della prima rampa di scale, tutti quegli scettici visitatori che non sanno che anche Palermo ha i suoi fantasmi.
*Docente e scrittore