Il mare spezzato di Sebastiano Tusa, svelata la stele nel Pantheon di Sicilia
Inaugurato nella chiesa di San Domenico a Palermo il monumento funebre dedicato all’archeologo scomparso in Etiopia nel 2019. È stato realizzato dall’artista Michele Canzoneri
di Guido Fiorito
9 Dicembre 2021
Un frammento del legno di un’antica nave e un pezzetto di corallo, entrambi pescati dai sub in fondo al mare, sono contenuti nel sepolcro di Sebastiano Tusa, nel Pantheon dei siciliani illustri, la chiesa di San Domenico a Palermo. Un simbolo di quella passione per il mare, che lo condusse, insieme alle conoscenze sulla storia antica della Sicilia, a essere uno dei più importanti archeologi subacquei. Tusa, scomparso in un incidente aereo in Etiopia nel marzo del 2019 a 66 anni, era molto di più, un vulcano di idee e di progetti culturali hanno attraversato la sua vita. E, Foscolo insegna, le urne dei forti servono ad ispirare i vivi.
“Sono emozionata e commossa – ha detto la moglie Valeria Li Vigni, soprintendente del Mare, durante la cerimonia di inaugurazione -. Sebastiano amava questo luogo di memorie che insegnano qualcosa. L’importante è mantenere vivi i suoi progetti. Spero che tutti possano vedere la luce”. Il monumento funebre contiene le ceneri di Tusa ed è stato realizzato da Michele Canzoneri, 77 anni, artista palermitano al quale è sempre piaciuto sperimentare con i materiali. Sorge nella cappella del Santissimo Crocifisso, che è stata completamente restaurata, cancellando il degrado che si era accumulato negli anni. La stele di Tusa segue dopo il sepolcro monumentale dell’architetto Carlo Giachery.Il punto di partenza dell’opera di Canzoneri, è una frase di Tusa, che è stata incisa sulla stele: “Di fronte all’ignoto, il viaggio permette di avere l’emozione della scoperta: cercare, trovare, rischiare, e per la sete di conoscenza e per quell’Ulisse che è in noi”. Canzoneri, amico di Tusa che conosceva sin da ragazzo, ha tenuto un diario dei due anni in cui l’opera ha preso corpo. Il suo intento era di “costruire la sua memoria in pietra”. I lapislazzuli rappresentano il “mare spezzato” e il portello tombale è strappato perché “non si può chiudere o sigillare la ricchezza culturale della sua opera”. La stele, in pietra piatta basamentale giallo di Siena, è stata incassata nel muro “in direzione del suo mare Mediterraneo”. È sormontata a sinistra da un’onda di bianco di Carrara, che simboleggia il mare lacerato, e a destra da un vetro acricilico opaco color oltremare che contiene dentro una macchia rossa. L’iscrizione sotto è in caratteri maiuscoli in stile con arcaico. Il progetto prevedeva un elemento scultoreo sospeso e trasparente che si spera di realizzare in seguito.La stele porta un elemento di arte contemporanea a San Domenico che sarebbe piaciuto a Tusa e realizza quel che per padre Sergio Catalano, il priore della chiesa, è “vivere San Domenico come un luogo dove si avverano molte cose”. E tra queste una sta a cuore al priore: “L’urgenza del recupero e della necessità dell’adeguamento liturgico della chiesa che si lega all’aggiornamento sia tecnologico che artistico del manufatto”.Intanto, con l’intervento della Regione, a cura dell’Ufficio Speciale per la Progettazione diretto dall’ingegnere Leonardo Santoro, è stata recuperata, con tutte le sue opere, nell’absidiola in fondo alla navata destra, la cappella del Santissimo Crocifisso, realizzato da Giovanello de’ li Matinati (d’inizio Cinquecento). Compreso un particolare effetto scenografico per cui il crocifisso può essere occultato da quattro diversi quadri tardo settecenteschi che scorrono, entrando e uscendo su binari. Con il Crocifisso rappresentano i cinque “Misteri dolorosi del Santo Rosario”. Anche se nella presentazione la terza tela, per l’emozione della diretta, si è bloccata.“Ogni idea o progetto pensati da Tusa – ha detto il presidente della Regione Nello Musumeci, presentando la stele in una navata affollata di operatori culturali e gente comune – era di un modernismo e di un’avanguardia unici. Mi diceva che i protagonisti del mondo della cultura sono tutti autoreferenziali, si accontentano di lavorare per gli studiosi o gli addetti ai lavori. E aggiungeva che, al contrario, bisogna che la gente comune affolli i musei, che siano per le persone un luogo dove prendere un caffè o conversare. Stiamo portando avanti questa sua missione. L’esempio di Tusa, gli scritti, le testimonianze, le ricerche, l’autorevolezza, la sua notorietà nel mondo, costituiscono un patrimonio comune sempre vivo e attuale”. Alberto Samoná, successore di Tusa come assessore ai Beni culturali ha annunciato “una grande mostra sull’archeologo scomparso, nelle prossime settimane nelle sale espositive dell’Arsenale della Marina Regia di Palermo”.“Gli illustri siciliani – conclude il priore Catalano – non sono certo terminati”. Tusa riposa nella chiesa con gli altri grandi, da Meli ad Amari fino a Cannizzaro e Falcone. Dietro le pietre e le incisioni, questi uomini parlano ancora con noi. Perché chi è vivo nella memoria è immortale.