La chiesa “spagnola” e il misterioso crocifisso rubato
Sant'Eulalia dei Catalani, oggi sede dell'Istituto Cervantes, è uno scrigno di storie che intrecciano arte e letteratura
di Emanuele Drago
16 Marzo 2020
Nel centro storico di Palermo, in via Argenteria Nuova, all’inizio della strada che conduce al vecchio porto della Cala, si trova un’antica elegante facciata d’impianto plateresco. Al centro del portale d’ingresso, sotto ghirlande che riproducono al loro interno i busti di alcuni sovrani, spicca un’aquila aragonese in tufo, la quale, oltre a racchiudere l’immagine di un lingotto d’argento, raffigura anche le antiche colonne d’Ercole; un simbolo che sembra sposarsi benissimo col nome della via, essendo in quel periodo Palermo una fucina di “specializzati” argentieri che lavoravano l’argento che gli spagnoli estraevano dalle miniere boliviane di Potosì.
Nel luogo, appena oltre la facciata, dove adesso ha sede l’Instituto Cervantes, si trova la chiesa di Sant’Eulalia, cuore nevralgico della folta comunità di mercanti catalani che operavano a Palermo. Da quanto è dato sapere, la chiesa venne edificata già nel XV secolo e venne dedicata alla giovane martire barcellonese, appunto Sant’Eulalia. L’edificio religioso, ormai da tempo sconsacrato, venne più volte riconfigurato; ma ancora oggi è possibile ammirare l’antica struttura a croce greca, oltre ai quattro pilastri in marmo broccatello maculato che giunsero alla Vucciria da una cava spagnola. La chiesa, dopo essere stata abbandonata per diversi anni all’incuria e al degrado, nel 1991 venne ristrutturata e consegnata ai reali di Spagna.L’unica opera che ancora qualche anno fa vi si trovava era un affascinante e misterioso crocifisso seicentesco, poi trafugato; così, su quello spazio vuoto, l’estroso artista maiorchino, Miquel Barcelò, presente negli anni Novanta a Palermo, durante il Festival del Novecento, aveva pensato bene di realizzarvi una sua inquietante opera: un disegno in carboncino in cui era raffigurato un somaro crocifisso, ma appeso all’ingiù. L’artista, trovandosi davanti a un luogo ormai spoglio di ogni cosa (come già detto il bel crocifisso ligneo era stato da poco trafugato) lo trasformò nel suo personale atelier. Così, grazie a Barcelò, tra teschi a forma di vaso e altre sculture potentemente allusive, riprese vita (seppur sotto altre sembianze) il Cristo trafugato.Mi sembra opportuno fare riferimento alla nascita dell’Istituto di lingua e cultura spagnola “Cervantes” (uno dei quattro presenti in Italia) avvenuta non a caso nel 2005, anno in cui ricorrevano i quattro secoli dalla comparsa del “Don Chisciotte” di Cervantes, il grande letterato spagnolo che nel 1574 aveva visitato Palermo e che quattro anni dopo dovette condividere la sua cella algerina col più importante poeta siciliano del XVI secolo: Antonio Veneziano. A quanto pare il grande poeta castigliano rimase così affascinato dalla personalità del monrealese, che gli volle dedicare alcune lettere, alle quali il Veneziano rispose con dei versi, oggi custodite nel Museo Diocesano di Barcellona.Infine, va ricordato che, in un importante testo di letteratura moderna si fa a anche riferimento alla chiesa di Sant’Eulalia di Palermo. Infatti, nelle ultime pagine dello splendido libro “Oublier Palerme” scritto nel 1966 dalla compianta Edmonde Charles Roux, il protagonista della storia, l’italoamericano Carmine Bonavia, prima di essere ucciso, si troverà a fianco del venditore di gelsomini, proprio sotto i ruderi della chiesa, negli anni Sessanta ancora in stato di totale abbandono.*Docente e scrittore