◉ PALERMO
La dimora dimenticata dei Florio immersa nel verde della Piana dei Colli
La settecentesca Villa Pignatelli era una delle residenze della nota famiglia di imprenditori. Restaurata da Giuseppe Damiani Almeyda e ampliata da Ernesto Basile, è circondata da un parco rigoglioso studiato da docenti universitari e all’interno preziosi affreschi di Antonino Leto
di Emanuele Drago
27 Novembre 2023
di Emanuele Drago*
Palermo molto spesso vive di paradossi. Rimpiange ciò che non c’è, magari perché smembrato e cancellato dalla speculazione edilizia, e dimentica ciò che è ancora vivo e vegeto, almeno in parte, dando tempo all’incuria e all’oblio di attecchire su ciò che potrebbe essere ancora salvato. Questa distratta opera di rimozione storica ha interessato una delle importanti ville dei Colli, villa Florio Pignatelli, per anni sede dell’Opera Pia Istituto Pignatelli e in seguito vandalizzata e abbandonata. Un piccolo Eden che, fino a poco tempo fa, era completamente integro e che non era da meno all’altro parco che la stessa famiglia Florio aveva fatto realizzare attorno alle residenze dell’Olivuzza (poi venne lottizzato e cementificato dalla speculazione degli anni del Sacco)
Ma andiamo alla storia della villa. Quando Vincenzo Florio senior nel 1839 acquistò da Marcello Fardella, duca di Cumia, la casena settecentesca con relativo parco, che in origine era appartenuta al giureconsulto Casimiro Drago, provvide subito a farla restaurare dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda, affinché potesse passarvi alcuni mesi di villeggiatura insieme alla famiglia. Dopo il periodo di Vincenzo senior, la residenza dei Colli venne abitata, prima da Ignazio senior e poi da Ignazio Junior, almeno fino dal 1904, data in cui, a causa della morte della figlia Giovanna, i Florio la diedero in affitto a tre nobildonne di origine francese, di cui una era anche suora.
Oltre all’Almeyda e ad Ernesto Basile (che dopo la committenza dei Florio ebbe da Anna Maria Pignatelli il compito di realizzare un altro grande edificio in stile liberty che avrebbe svolto la funzione di collegio) all’interno del giardino e della villa settecentesca vi lavorarono anche il Marvuglia e il pittore monrealese Antonino Leo. Ed è proprio a queste due figure che sono legate le inedite sorprese che la villa costudisce. La prima riguarda il giardino che si trova sul retro: un quadrilatero che ricorda planimetria di villa Giulia e a cui si accede dopo aver superato la casa del custode, un lungo viale alberato da filari di platani e un’area di rappresentanza.
Si tratta di una splendida flora all’italiana costituita da oltre quaranta specie di piante tropicali; alberi di aranci amari, limoni e mandarini, che convivono con aurecarie, dracene e altre numerose specie arboree di carattere esotico, dalla Phoenix canariensis al Pinus, dalle Cycas alle siepi di bosso. Lo straordinario impianto arboreo ha finito per destare l’interesse di studiosi del dipartimento di Scienze botaniche dell’Università di Palermo, di saggi, come quello dei professori Luciano e Francesco Maria Raimondo e Manlio Speciale (“Natura e architettura nel giardino di villa Pignatelli”) in cui si afferma chiaramente che i giardini non sono luoghi semplicemente ornamentali e che vanno trattati come se fossero anch’essi spazi architettonici.

La villa dall’alto
Non è un caso che a villa Florio Pignatelli queste piante sembrano essere un tutt’uno con i berceau, le pagode, i gazebi in ghisa, le fontane, le esedre, ed altri elementi di arredo realizzati all’inizio del Novecento dalla fonderia Oretea. Parte del giardino, in tempi recenti, è stato affidato dalla Curia alla Missione Speranza e Carità per la coltivazione di verdure, ortaggi e agrumi.
Ma oltre alla parte arborea c’è anche il palazzo, un luogo spogliato di ogni bellezza in cui nel 2000, nascosto nelle pareti del vano del sottoscala, lo studioso Ugo Giambona scoprì la seconda inedita sorpresa a cui abbiamo accennato prima: un ciclo di pitture murali realizzate dal pittore monrealese Antonio Leto. Come ha più volte affermato lo stesso Giambona “si tratta di tesori d’arte nascosti che spesso si trovano sotto i nostri occhi e passano come oggetti comuni o insignificanti a chi li osserva distrattamente”.
Tesori, aggiungiamo noi, che oltre ad avere un grande valore artistico, hanno un grande valore storico e culturale. Dei quattro pennelli a tempera, eseguiti tra il 1880 e il 1881 e inseriti pittoricamente in quattro finti gazebo, il più importante è certamente quello denominato Festa al villino Florio ai Colli (gli altri vengono indicati con i nomi di “Il gioco”, “Paesaggio con gallo e gallinacci” e “Paesaggio con vaso”).
Ma dove sta la straordinarietà di questa scoperta? Indubbiamente nella bellezza a trompe-l’oeil del dipinto alle pareti. Un dipinto murale in cui i personaggi di casa Florio, affacciati a una balconata, sembrano voler dialogare con chi si ferma ad osservarli mentre sale le scale. Sguardi leggiadri e quasi caricaturali in cui il Leto, con grande maestria, oltre a trasmettere la lezione apprese a Parigi dai macchiaioli e gli impressionisti, gioca col pastoso cromatismo dei suoi pennelli. Al centro di un grande tendaggio rosso, che ricorda quello del palco reale di un teatro, è possibile cogliere il piccolo Ignazio mentre tiene un mazzetto di fiori, la sorella Giulia, il fratello Vincenzo (morto a 12 anni di tubercolosi) lo sguardo dolce di Giovanna d’Ondes, la moglie di Ignazio senior, della cognata con le figlie, di Nené d’Ondes Trigona mentre fuma il sigaro, del medico di famiglia, l’illustre Vincenzo Cervello, e dello stesso Leto, sebbene quasi nascosto.
Il dipinto rimanda ad un altro quadro, ormai perduto, che era collocato dentro il palazzo dell’Olivuzza, di cui però sono rimasti alla Gam alcuni bozzetti. Insomma, un importante documento in cui, per la prima volta, la famiglia Florio non viene ritratta in maniera estatica e quasi fotografica, ma in posa dinamica e gioiosa, immersa nel clima festoso della indimenticabile Palermo liberty.
*Docente e scrittore