◉ STORIE

L’epopea degli Ahrens: ascesa e caduta di un impero nella Palermo della Belle Époque

Capostipite della storica famiglia di imprenditori, Albert, commerciante di tessuti di origine ebraica proveniente dalla Germania, arrivò in Sicilia nel 1875 dove iniziò la sua avventura nel mondo dell’industria. Nel capoluogo fondò un mobilificio e uno stabilimento enologico, oltre a un negozio di stoffe. La loro villa nella Piana dei Colli diventò un’isola di cultura tedesca aperta alla borgata

di Emanuele Drago

19 Marzo 2024

L’ascesa e la progressiva rovina di un’agiata famiglia borghese, tema presente ne “I Buddenbrook” di Thomas Mann, sembra avere accomunato il destino di molte prestigiose famiglie che in quello stesso periodo storico approdarono nella nostra isola. Tra esse, oltre ai già noti Florio, Ingham e Whitaker, va anche annoverata l’importante famiglia degli Ahrens, giunta in Sicilia nel 1875 grazie ad Albert, un commerciante di tessuti di origine ebraica proveniente dalla piccola cittadina di Vadel. Il giovane, dopo aver lavorato in diverse cittadine della Germania, prima in una ditta di bottoni e poi in una di biancheria, grazie a un cugino di uno zio decise di trasferirsi a Napoli, luogo in cui un certo Carl Unsoeld era proprietario di una ditta di import ed export di tessuti. Di lì a poco la ditta avrebbe aperto una succursale anche a Palermo, sicché Albert fu costretto a trasferirsi nel capoluogo siciliano.

Albert Ahrens con Johanna Benjamin

Dopo aver ottenuto a Palermo il suo successo professionale, Albert decise di mettere su famiglia. Per farlo prese in sposa la figlia dell’imprenditore Eduard Benjamin, Johanna, il cui sguardo aveva incrociato a Monaco di Baviera durante una serata a teatro. Non essendosi mai dichiarato apertamente, Albert diede il compito a un amico bavarese di occuparsi della questione: avrebbe dovuto parlare apertamente al signor Benjamin dell’interesse che egli provava per la figlia. La faccenda si concluse positivamente, giacché Albert ottenne da Johanna una risposta alla sua proposta di matrimonio tramite un telegramma in cui v’era scritto semplicemente “Ja”.

Una volta giunta a Palermo, Johanna andò ad abitare col marito in via Sammartino, al numero 34, non distante dal negozio di esposizione di stoffe, fibbie, guanti, sciarpe e cappellini che gli Ahrens avevano aperto in via Ruggero Settimo, a pochi passi da piazza Politeama e da quello dei Caflish. L’ufficio della ditta si trovava in piazza Meli, luogo in ebbe anche sede il consolato dell’Uruguay, consolato di cui Albert divenne console. La Aom (Ahrens Officina Mobili) aveva due laboratori, uno in via Cassari e l’altro in via Cusmano. Nella ditta vi lavoravano complessivamente centocinquanta operai. Avviata l’attività, i coniugi Ahrens vollero realizzare un ultimo desiderio: edificare una villa tutta per loro. La villa venne costruita presso la Piana dei Colli e a progettarla fu l’architetto Ernesto Armò, allievo di Basile. Ad abbellirne gli interni ci pensarono altri artisti, in particolare Salvatore Gregorietti, il quale ebbe il merito di impreziosire le vetrate.

La dimora, oltre a svolgeva la doppia funzione di abitazione e opificio, divenne anche un’isola di cultura tedesca in cui si leggeva, si coltivava il collezionismo e si giocava a scacchi. C’era un luogo magico in cui gli otto figli degli Ahrens passavano il tempo libero: una casetta di legno che Albert aveva fatto costruire tra le radici di un grosso ficus. Col passare degli anni la villa s’aprì alla borgata circostante e la stessa Johanna entrò a far parte dell’alta società palermitana, grazie al legame che instaurò con Adele Fatta. Fu infatti quest’ultima che la spinse a far parte delle Dame di San Vincenzo. Ben presto a Villa Ahrens arrivarono illustri ospiti, prima il Kaiser Guglielmo II e poi anche i parenti, soprattutto quelli di Johanna (una sorella, ovvero Kathe Benjiamin, sposò Albert Reber, un tedesco già da tempo a Palermo che possedeva La Libreria Internazionale)

Villa Ahrens (foto Igor Petyx)

La crisi politica e la guerra decretarono la fine del mobilificio e dello stabilimento enologico. Ma quando ciò avvenne Albert era già morto. Fu infatti nello stesso anno, era il 1938, che furono emanate in Italia le leggi razziali e che l’impresa degli Ahrens venne inserita nella lista delle aziende che non avrebbero dovuto superare i cento dipendenti. Il 30 dicembre 1940 la villa venne svenduta. Un mese dopo l’Italia sarebbe entrata in guerra. Dopo la fine della guerra la famiglia ottenne da parte del Demanio un rimborso per le imposte che in passato la ditta aveva pagato. Con quei soldi Johanna (che frattanto aveva condiviso con le figlie Berta e Marta un appartamento in via Lojacono) acquistò una villetta liberty a Sferracavallo, luogo in cui si trasferì e visse fino alla morte, avvenuta alla longeva età di ben centosei anni.

Ma quale fu il destino delle sei figlie Ahrens? Alice sposò Salvatore Helg e si trasferì a Milano. Margherita, invece, la più timida, sposò Vincenzo Raja, un enologo e politico socialista. Olga invece sposò Corrado Morello e andò a vivere a Pau, una cittadina dei Pirenei. Mentre Vera andò in sposa a Settimo Morello, uomo che amava la campagna, in particolar modo la grande proprietà che possedeva in contrada Sant’Onofrio. Infine Marta e Berta (che in gioventù aveva avuto un’intensa vita intellettuale, essendo entrata in contatto oltre che con il movimento culturale della Giovane Vienna, anche con Felix Braun e col drammaturgo tedesco Stefan Zweig) vissero con la madre fino alla sua morte.

Quanto a due unici figli maschi, a loro invece toccò un triste destino: il bello e aitante Robert, il figlio prediletto di Albert, morì durante un incidente ferroviario avvenuto sulla linea Messina-Catania; mentre Erwin, grande appassionato di fotografia, non resse la tragica esperienza della Grande Guerra e dopo essere tornato a Palermo si tolse la vita.

Villa Ahrens oggi delle della Dia (foto Igor Petyx)

La storia degli Ahrens è stata portata alla luce dalla scrittrice Agata Bazzi (nipote di Margherita Ahrens e Vincenzo Raja, nonché figlia di Gigliola Raja) insieme alla cugina Maria Teresa (nipote a sua volta di Vera Ahrens) Da questo studio ne è uscito fuori un bel libro dal titolo “La luce è là”, traduzione del termine “Lik dor” le cui sei lettere sono incise nelle sei punte della stella di David, stella scolpita dentro lo scudo dell’aquila con ali spiegate e ramoscello d’ulivo, che campeggia sopra la facciata principale della villa di San Lorenzo. Villa che, dopo anni di abbandono, è riuscita a sopravvivere all’oblio. Negli anni Duemila, infatti, per l’esattezza il 12 ottobre del 2012, grazie a fondi stanziati dall’Unione Europea è tornata a rivivere, divenendo la sede della Direzione investigativa antimafia. In anni più recenti, nel 2019, ha aperto alle visite durante il festival Le Vie dei Tesori.