Risplende la Madonna che fece piangere i fedeli
La grande icona sacra raffigurante l’Odigitria, custodita nella cattedrale di Monreale, è esposta a Palazzo Branciforte dopo un delicato restauro
di Guido Fiorito
19 Dicembre 2019
Buio fitto, canti gregoriani, immagini di icone che appaiono su un muro, un percorso suggestivo tra pannelli illuminati e le armature di legno che ospitavano gli oggetti del monte dei pegni dei poveri che fanno pensare ai labirinti spaziali di Escher. E in fondo, nell’ultima stanza, illuminata da un fascio di luce, ecco la protagonista. La Madonna Odigitria, ovvero, dal greco, colei che indica il cammino. Lo sguardo colmo di pietà, il bambino con il volto di adulto tra le braccia.
Siamo a Palazzo Branciforte, in via Bara all’Olivella, a Palermo, dove la Madonna Odigitria del duomo di Monreale, sarà in mostra fino al 19 gennaio. Non è una semplice esposizione ma il risultato di un restauro e di una ricerca che, per la prima volta, ha cercato e scoperto i segreti di quest’opera che, a fine mostra, troverà collocazione definitiva nella cattedrale di Monreale. Opera d’arte e immagine sacra, oggetto di devozione tra i credenti. “Verbo che si fa immagine” ha detto l’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi, che ha ricordato di aver deciso di riportare dopo due secoli l’opera nel duomo quando, nel 2014, un gruppo di ortodossi russi nel vederla si inginocchiarono e piansero.Da qui il restauro promosso dalla Fondazione Sicilia, realizzato da Mauro Sebastianelli, e accompagnato dalla ricerca storico-artistica del professore Giovanni Travagliato che hanno fatto uscire la vicenda di questo quadro dal mito. Unendo conoscenze storiche alla ricerca scientifica. L’opera è stata sottoposta ad indagini radiografiche, scoprendo un sottostante disegno preparatorio, e a micro prelievi per indagini chimiche effettuate alle università di Palermo e di Urbino. Confrontata con tutte le opere simili.La tradizione voleva l’opera legata a Guglielmo II, il sovrano normanno che fece costruire il Duomo di Monreale nel 1174 e che l’avrebbe usata come capezzale. La conclusione di Giovanni Comparato è che la datazione dell’opera va spostata in avanti, “intorno alla metà del XIII secolo, in età federiciana o comunque ancora sveva o protoangioina”. Ovvero una “tabula di altare romanica”, di autore meridionale e occidentale pur legato alla maniera greca. Gli indizi per questa datazione sono nel fondo argentato, riportato alla luce dal restauro, nelle parti in gesso e colla animale plasmati e dal disegno preparatorio. L’icona è stata realizzata con la tecnica a tempera, utilizzando pigmenti stemperati in un legante proteico, probabilmente tuorlo d’uovo.Un libro, il primo di una collana della Fondazione Sicilia “tra ricerche e restauri”, adesso racconta il restauro e la vicenda storica e artistica dell’opera. Il primo intervento, nell’Ottocento, in accordo con le pratiche del tempo, era stato pesante e addirittura era stata applicata una superficie dorata su quella originale argentea oggi ripristinata. Sono state colmate le lacune che il tempo aveva accumulato.Sul punto in cui era collocata in cattedrale l’icona detta Madonna Bruna o Madonna della Negra, non ci sono certezze. La fonte più antica della sua presenza è il gesuita Ottavio Gaetani (1615). Due le ipotesi: sull’altare all’interno del presbiterio o sul tramezzo marmoreo che separava l’area riservata ai monaci da quella dei laici. Il grande formato dell’icona indica che era stata destinata a uno spazio ampio dove poteva essere visto a distanza. “La sua storia è un’avventura”, sintetizza Maria Concetta Di Natale, direttore scientifico del Museo diocesano di Monreale. Sopravvissuta all’incendio del 1811, l’icona fu trasferita al Museo Diocesano di Monreale e poi è tornata in cattedrale. “Ha subito rifacimenti – dice Mauro Sebastianelli – e successivi restauri. Tuttavia la preziosa Odigitria non ha mai perso l’efficacia espressiva”. Ancor più oggi che è tornata a nuova vita.