La grotta dell’Acquasanta e quell’antico tempio sul mare

La presenza di un insediamento punico nella borgata palermitana ha trovato conferma negli scavi all’interno del parco di Villa Belmonte

di Emanuele Drago

11 Maggio 2019

Lo sviluppo delle borgate marinare della costa palermitana a nord dell’antico porto della Cala, sono in qualche modo legate allo sviluppo dei primi insediamenti antichi che sorsero nella parte pedemontana del monte Ercta, l’attuale monte Pellegrino. Fu infatti proprio su quel rilievo, poi definito “feudo di Barca”, che si era asserragliato il generale Amilcare Barca, per ben tre anni, insieme al suo esercito, con preciso intento di riconquistare la città che era caduta in mano ai romani.

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Stabilimento Fratelli Pandolfo

La presenza di un antico insediamento punico ha trovato conferma negli scavi archeologici fatti all’interno del parco di Villa Belmonte, ma anche nelle incisioni trovate dentro alcune grotte prospicienti il mare. Le grotte in questa zona della città sono principalmente quattro e dal punto di vista morfologico richiamano alla mente altri insediamenti punico fenici presenti a Gozo, a Gibilterra e nelle isole Baleari. Complessi archeologici relativi a un tipo di santuario, il tempio costiero – come ha approfondito Giovanni Purpura nei suoi studi – , principalmente extraurbano e legati a riti oracolari connessi alla navigazione.In questa serie di grotte a schiera, la prima che s’incontra è quella che poi ha dato il nome ad un intero quartiere, denominata appunto grotta dell’Acquasanta e che nel Settecento fu al centro dell’interesse e dell’attenzione di molti viaggiatori provenienti da tutta Europa. Alla grotta si accede dal porticciolo dell’Acquasanta, di fronte al quale, nella piazzetta, si trova la villa appartenuta Giovanni Ventimiglia marchese di Geraci, con annessa chiesa dedicata alla Madonna della Lettera. Orbene, nella grotta, dentro cui scorreva acqua dalla grande funzione terapeutica, a partire dal Seicento, il barone Mariano Lanterna Gravina edificò la sua villa, la quale divenne in nucleo abitativo attorno al quale si sviluppò l’intera contrada marinara. Successivamente la villa venne ceduta ai fratelli Pandolfo, due sacerdoti che sfruttando la presenza della vicina fonte, decisero di impiantare accanto ad essa uno stabilimento balneare con acque curative, negli ultimi anni poi caduto in disuso. Ma accanto alla grotta è anche presente la grande peschiera voluta dai Borbone, all’interno della quale si trova anche la cosiddetta “nave di pietra”, ovvero una terrazza a forma di piroscafo, fatta costruire nel 1775 dal filantropo monsignor Giuseppe Gioeni Trabia, per istruire alla navigazione i giovani del neonato collegio nautico.
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Villa Lanterna

Ma torniamo al sistema di grotte in serie. Ebbene, la seconda grotta, denominata della Giarraffa, è stata in parte erosa da una tempesta che si abbatté sulla costa palermitana negli anni Settanta, e che oggi si trova quasi del tutto sommersa, appena sotto il tempietto di Villa Igiea. La terza grotta venne denominata la Grotta del bagno della Regina Carolina, per distinguerla da una “grotta della Regina” che è ancora presente a Capo Gallo. La grotta alla fine del Settecento, durante l’esilio palermitano, fu spesso utilizzata dalla consorte di Ferdinando il Borbone, come luogo in cui spesso si abbandonava nell’acqua marina e ai vapori che trasudavano dalla roccia, seduta all’interno della vasca naturale che venne ricavata per l’occorrenza.
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Chiesa di Maria Santissima della Lettera

La quarta grotta, conosciuta come grotta dell’Arenella o del Ninfeo, ricade nel quartiere dell’Arenella e oggi si trova inglobata all’interno del porticciolo della Lega Navale. Infine, un’ultima considerazione: fin dal XIV secolo la contrada era ricca di tonnare la cui produzione di pesce essiccato sostentava i conventi e i ceti più poveri. Inoltre, le tonnare, quasi sempre – a partire dalla tonnara di San Giorgio che era posta all’estremità del nuovo molo – vennero impiantate vicino a quelle che erano le torri di avvistamento, le quali svolgevano a loro volta una vera e propria funzione difensiva nei confronti delle navi nemiche, in particolar modo contro le navi saracene. Ben cinque furono le torri, alcune poi riconvertite in mulini, che erano presenti in questa parte di costa: Arenella, Vergine Maria, Rotolo, Punta Priola e Addaura. Si trattava di un sistema ben collaudato, la cui progressiva accensione di fuochi, permetteva di comunicare per tempo la presenza di navi nemiche sulla rada, garantendo così l’immediata difesa della città.*Docente e scrittore