◉ AMBIENTE

I ricci di mare in Sicilia stanno scomparendo, il biologo: “Non mangiamoli per qualche anno”

Una ricerca dell’Università di Palermo ha rivelato che questa specie è sempre più rara nelle cinque aree marina protette dell’Isola. Una proposta di legge all’Ars mira a vietarne la pesca per tre anni. Il ricercatore Francesco Tiralongo: “Peschiamo gli alieni per tutelare i nostri ecosistemi e la biodiversità”

di Carola Arrivas Bajardi

4 Dicembre 2023

di Carola Arrivas Bajardi

I ricci  sono considerati uno dei “frutti di mare” più ricercati provenienti dal cuore del Mediterraneo. Grazie alla delicatezza delle loro gonadi, gli organi riproduttivi, la pasta con i ricci occupa da sempre un posto di prim’ordine tra le prelibatezze della cucina siciliana.  Ma il Paracentrotus Lividus ha anche un importante valore naturalistico e scientifico.  Recentemente il progetto Mopa – Monitoring Paracentrotus, coordinato dal Dipartimento Scienze della Terra e del Mare dell’Università degli Studi di Palermo con la responsabilità scientifica della professoressa Paola Gianguzza, ha appurato che il riccio di mare è sempre più raro e vi è un rischio concreto di estinzione della specie.

L’indagine ha prodotto risultati inferiori ad ogni previsione, anche perché è stata svolta nelle cinque aree marine protette siciliane: Capo Gallo-Isola delle Femmine (in provincia di Palermo), Capo Milazzo (nella zona tirrenica del Messinese), l’isola di Ustica (in provincia di Palermo), la zona del Plemmirio (nel Siracusano) e le Isole Ciclopi (nella zona ionica del Catanese).

La questione è recentemente approdata all’Ars con una proposta di legge presentata dal gruppo del Partito Democratico, che mira a sospendere la pesca del riccio di mare per tre anni, in modo da consentire il ripopolamento nei mari regionali. Ne parliamo con Francesco Tiralongo, biologo marino e ricercatore nel Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania.

Riccio di mare (Foto di Nam Lê Hoài da Pixabay)

Qual è la situazione della pesca dei ricci di mare in Sicilia?

“La pesca al riccio di mare in Sicilia, attualmente, non è vietata, l’animale può essere pescato nel numero di 50 esemplari al giorno per persona (senza ausilio di bombole), oppure, con limiti ben superiori, da parte dei pochi pescatori professionisti autorizzati. Per il resto non può essere pescato nel periodo di fermo biologico (maggio e giugno). Purtroppo, questa prelibatezza è oggetto di una indiscriminata pesca illegale, dentro e fuori le aree marine protette. Anzi, spesso le attività illegali si concentrano proprio all’interno delle Amp, data la percezione dei pescatori di frodo, che considerano queste aree più produttive”.

Secondo i ricercatori dell’Università di Palermo, solo 12 pescatori possiedono una regolare licenza di pesca dei ricci di mare. Ne deduco che la maggior parte dei deliziosi spaghetti ai ricci di mare che mangiamo nelle trattorie, o che arrivano sulle nostre tavole, provengono da pesca illegale.

“Assolutamente sì. Potremmo fare benissimo a meno di mangiare il riccio di mare, almeno per qualche anno, il tempo necessario alla risorsa per riprendersi”.

Perché non si riesce a controllare la pesca illegale? Una volta attuata la legge all’Ars, quali strategie secondo lei il governo regionale dovrebbe adottare per fermare una volta per tutte questo saccheggio?

“Semplice, effettuare i controlli, dentro e fuori le Aree marine protette”.

Lei ha detto che proprio nelle aree protette ci sono meno ricci rispetto alle altre aree, come mai?

“Il nostro mare ormai è molto depauperato da tante risorse. Sono diversi i fattori che possono portare al sovrasfruttamento di una risorsa, nel caso del riccio di mare metterei al primo posto la pesca illegale, che, come dicevo, spesso si concentra proprio all’interno delle Amp e di altre zone marine protette”.

Probabilmente i pescatori vanno a saccheggiarle perché sanno che li dovrebbero essercene di più e non ci sono controlli, è questo il vero problema?

“Esatto”.

Quali sono le concause ambientali che portano alla riduzione della presenza dei ricci di mare nei nostri fondali?

In primis, la pesca sfrenata e illegale. Poi andrebbero visti, studiati e analizzati attentamente altri fattori ambientali, come, ad esempio, la temperatura, la salinità e il pH”.

Il riccio vive sui fondali rocciosi, da zero a 30 metri di profondità. Oggi bisogna scendere più in profondità per trovarli? Questo è dovuto anche al surriscaldamento del mare?

“Direi che è dovuto soprattutto alla maggiore difficoltà di accesso per i pescatori, è ovvio che quelli presenti in acque molto basse, fino alle ginocchia addirittura, sono stati i primi a essere depredati, ormai parecchio tempo fa nella maggior parte delle nostre coste. Le acque più profonde, invece, non sono alla portata di tutti e servono esperienze e attrezzature specifiche”.

Quali sono i rischi per l’ecosistema marino se scompaiono i ricci? È vero che se la loro presenza diminuisce nei mari, aumentano le alghe sui fondali?

“Una correlazione così semplice e lineare non è scontata. Il sistema marino è estremamente complesso e il mare popolato da una miriade enorme di altri organismi che interagiscono costantemente tra di loro. Tuttavia è ovvio che la scomparsa di una qualsiasi specie porta squilibri ecosistemici nella rete trofica di cui fa parte”. 

La scomparsa dei ricci è l’ennesima dimostrazione che la crisi della biodiversità si accompagna a quella climatica. Paracentrotus lividus è sensibile alle condizioni ambientali? È stato anche colpito dalla crisi climatica e dall’inquinamento?

“Probabilmente sì, ma non ci sono dati robusti a sostegno, ripeto, bisogna prestare attenzione alla pesca illegale, lì sì che abbiamo certezza sulla relazione causa-effetto. Tante specie marine sono piene di inquinanti, come ad esempio il metil-mercurio, eppure sono in perfetta salute e noi continuiamo a nutrircene, si pensi al tonno e al pesce spada, ma anche a tanti altri prodotti del mare di minori dimensioni”.

Un piatto a base di frutti di mare (Foto di FatherSecret da Pixabay)

La divulgazione e l’educazione ambientale sono fondamentali per modificare l’approccio e far comprendere che le risorse ambientali non sono infinite ma vanno gestite con saggezza.

“Sì, sono importantissime e anche noi ce ne occupiamo, sia come università che come associazioni naturalistiche a stampo scientifico. Tuttavia, la problematica trova radici in un contesto socio-culturale ed economico assai difficile”.

Gli stessi pescatori che saccheggiano non si rendono conto che vanno contro il loro stesso interesse, un fermo biologico di almeno tre anni con la semina significherebbe la salvezza per la loro economia oltre che per questa specie. Semplicemente non abbiamo scelta?.

“Interessa loro relativamente, parliamo sempre soprattutto di gente consapevole del danno che fa all’ambiente, ma costretta a farlo a causa della situazione economica in cui versa. Come si direbbe, mors tua vita mea”. 

In Puglia e Sardegna è stato già decretato il fermo biologico. Per quanto tempo? 

“Per 3 anni in entrambi i casi”.

Lì però i ricci di mare non sono un piatto prelibato come in Sicilia, quindi è comprensibile la preoccupazione dei pescatori e dei ristoratori siciliani. Si dovrebbe incentivare per i prossimi anni il consumo di specie invasive commestibili come il granchio blu?

“Sarebbe sicuramente un’ottima scelta. Come università di Catania e in collaborazione con altri enti, come il Cnr, stiamo già percorrendo questo percorso:cpescare gli alieni per tutelare e proteggere i nostri ecosistemi e la diversità”.

I ricci sono minacciati dalla pesca illegale (Foto di Alex Sky da Pixabay)

Una curiosità. È vero che i ricci si mangiano mesi con la “erre”?

“In linea di massima è così, sia per il fermo biologico nel periodo maggio-giugno, sia per il fatto che le gonadi si trovano ben strutturate nella maggior parte degli altri mesi”.

Quali sono le specie ittiche che fanno parte della nostra cucina tradizionale mediterranea e siciliana a rischio di estinzione?

“Il riccio non è una specie ittica perché non è un pesce. Altre risorse a rischio sono il ‘dattero di mare’, un bivalve prelibato la cui raccolta è inoltre distruttiva per l’ambiente in quanto, vivendo all’interno della roccia, questa viene devastata per estrarne gli animali. Ovviamente ci sono tante altre specie a rischio, anche specie che non hanno interesse commerciale alcuno o scarso, ma che sono fondamentali per l’ambiente”.