◉ CULTURA
Palermo Liberty, cinquecento opere raccontano gli anni d’oro
Inaugurata a Palazzo Sant’Elia la grande mostra dedicata a un’epoca che ha segnato la storia della città. Esposti centinaia di pezzi, alcuni provenienti da collezioni private. Torna dopo 120 anni un mobile secretaire della Ducrot, opera di Ernesto Basile, comprato dalla regina Elena. C’è anche il modello in legno del Teatro Massimo e la Pupa del Capo
di Guido Fiorito
16 Dicembre 2023
Cent’anni dopo la fine del suo percorso, il liberty palermitano non finisce di stupire. Arte di un periodo di maggiore libertà nei costumi, qual è stata la Belle Époque, quando le coppie si davano appuntamenti galanti scrivendo messaggi sui giornali e la borghesia scopriva la vita en plein air e lo sport. Una libertà gentile, aggraziata, floreale appunto, spenta nel bagno di sangue della prima guerra mondiale, prima ancora di diventare maniera appena qualche anno dopo.
La mostra Palermo Liberty fa il punto su tutto questo a Palazzo Sant’Elia fino al 30 maggio del prossimo anno. Il sottotitolo è “The golden age” e certamente quella del liberty è stata un’età dell’oro. Palermo alla fine dell’Ottocento vive un dinamismo sconosciuto in precedenza, che trova nell’arte un momento di splendore. Il sindaco Roberto Lagalla ricorda che “anche in quella Palermo felicissima non mancavano le disuguaglianze sociali, che esistono ancora oggi, ma la città seppe sviluppare una realtà produttiva oltre che artistica e culturale capace di esprimersi con originalità”.
“Si è iniziato a studiare il liberty – dice l’architetto Ettore Sessa, curatore della mostra con Cristina Costanzo e Massimiliano Marafon Pecoraro – alla fine degli anni Sessanta per merito di Gianni Pirrone. Da allora sono state esplorate collezioni e archivi. Eppure nei giacimenti del liberty ci sono ancora tanti materiali da far emergere e poi il giudizio critico va aggiornato perché muta con il passare del tempo”.
In questa mostra i materiali sono tanti, circa cinquecento opere, note e no, senza distinzioni ormai passate tra arte maggiore e minore, esposti in modo scenografico da Silvia Cattiodoro e Calogero Vinci. “È frutto di un lavoro corale – dice la storica dell’arte Costanzo – con opere eterogenee, dai dipinti alle sculture, dai gioielli ai disegni architettonici. Ci sono opere di collezioni private che di solito non sono visibili”.
Torna dopo 120 anni a Palermo, per esempio, un mobile secretaire della Ducrot, opera di Ernesto Basile, con pitture interne di Ettore De Maria Bergler e applicazioni in bronzo di Antonio Ugo, comprato dalla regina Elena ed esposto a Venezia nel 1903. “La progettazione integrale – dice Sessa -, con la collaborazione di vari artisti, è una delle prerogative del liberty palermitano che lo inserisce nel grande movimento internazionale dell’Art Nouveau”.
Con i mobili Ducrot l’arte entra in tutte le case e si può dormire in un letto di palissandro con intagli floreali ancora oggi di immutata bellezza, il cappello a cilindro che riposa in un contenitore di cuoio. Altre sezioni ci permettono di conoscere artisti meno conosciuti. Protagoniste le arti decorative. Incantano i gioielli di Sergio Lucito, Platimiro Fiorenzi e della bottega di Giuseppe Fecarotta. La stanza dei vestiti, che provengono dalla collezione Piraino, mostra l’arte di sartorie come Pillitteri-Merlet di piazza Castelnuovo, Pierre e Josè Durand, parigini emigrati a Palermo, o delle sei sorelle di Siracusà in via Cavour.
E poi c’è la città che cambia: i disegni del piano di risanamento e di ampliamento di Felice Giarrusso e quello di Mondello e della Favorita, che a quel tempo si chiama Tenuta reale – Giustino – Valdesi – Mondello. Gli eleganti disegni di quelli che erano soltanto gli umili gabinetti della spiaggia. Il fiorire dei villini liberty con i capolavori di Ernesto Basile. Dalla Sala degli specchi di Villa Igiea proviene uno spettacolare paravento a cinque ante. E poi i bronzetti di Ugo, Rutelli e Nicolini, i quadri di Ximenes e Terzi…
“I pittori celebrano i luoghi in cui i palermitani si riconoscono”, dice Cristina Costanzo, come mostrano nell’esposizione i solari Lojacono che raffigurano il Foro Italico e Santa Maria di Gesù, la Porta Nuova autunnale del malinconico Catti, il fuoco d’artificio del Monte Pellegrino e del golfo di Palermo di notte di O’Tama Kiyohara la moglie dello scultore Vincenzo Ragusa.
La mostra, parte con i precursori, con il modello in legno del Teatro Massimo (la fine del cantiere è del 1897) che ne fu il grande laboratorio, e chiude con il Cinema Massimo del 1923 di Santangelo, allievo di Basile. Salendo al terzo piano, sono proiettati video dedicati alla Targa Florio, alla fabbrica Ducrot e al sacco di Palermo, con le foto e schede dei “cadaveri architettonici eccellenti”: da Villa Rutelli, al villino Fassini fino a Villa Deliella.
“Questa iniziativa – dice Antonio Ticali, ideatore e coordinatore del progetto come sovrintendente della Fondazione Sant’Elia – rientra in un progetto più ampio sul liberty a Palermo, che l’anno scorso, con la candidatura avanzata da Legambiente, è entrata a far parte della rete Réseau Art Nouveau promossa dal Consiglio d’Europa”. Così come per l’assessore regionale al Turismo, Elvira Armata, “è un punto di partenza per creare itinerari turistici del liberty”. Dietro le scelte della mostra c’è un Comitato scientifico presieduto da Maria Concetta Di Natale.
Una stanza foderata d’oro, una sorta di installazione con video, contiene, infine, una delle opere più popolari del liberty palermitano, la Pupa del Capo che torna sotto gli occhi del pubblico dopo alcuni anni. Il mosaico, realizzato per il panificio Morello all’inizio del Novecento da un autore ignoto, è stato messo al sicuro a Palazzo Ajutamicristo ed è stato pulito e restaurato con la reintegrazione delle tessere mancanti in resina epossidica trasparente, quindi riconoscibili e reversibili, e il ripristino i colori originali.