Il tè siciliano nato all’ombra dell’Etna

Alle pendici del vulcano, in una tenuta di 60 ettari vicino a Linguaglossa, Isabella Bambara De Luca ha dato vita a una coltivazione di particolari camelie, che verranno raccolte, essiccate e confezionate per una produzione di nicchia

di Laura Grimaldi

2 Ottobre 2018

Un nome ancora non ce l’ha, ma sarà un tè siciliano. Una produzione di nicchia per estimatori della bevanda più antica – quasi 5000 anni – e più consumata al mondo dopo l’acqua. Sono arrivate cinque anni fa da un importante vivaio di Verbania, sul lago Maggiore, le seimila piccole Camellie sinensis piantate nella tenuta ‘Chiuse del Signore’, vicino a Linguaglossa, alle pendici del vulcano attivo più alto d’Europa.In questa terra di camelie, le piante del tè sono cresciute forti e rigogliose sotto una protezione per evitare che l’eccesso di sole bruciasse le giovani foglie, lucide e coriacee. A breve verranno raccolte, essiccate e confezionate. Pronte per essere utilizzate nella preparazione di infusi aromatici da assaporare in tranquillità.Una scommessa per Isabella Bambara De Luca, erede di questa terra generosa, a 555 metri di altezza o poco più, in una piccola valle al riparo dai venti, tra maestose querce, noci e castagni centenari, viti, peri, azzeruoli, giuggioli e alberi di mele piccole, dolci e profumate. “Il tè più vicino al cielo” – scherza Isabella che con la sua impresa ha voluto anche rendere omaggio al padre Giovan Battista, albergatore con la passione per i cappelli, i viaggi e, neanche a dirlo, il tè. Conosceva bene le lingue come testimoniano le impressioni di viaggio da lui annotate nei suoi cahiers de voyage in inglese, tedesco, francese, spagnolo e naturalmente in siciliano. Tra le tante foto d’epoca del padre ce n’è una in bianco e nero che lo ritrae in perfetto abbigliamento coloniale in groppa a un elefante sull’isola di Ceylon. “Avevo 11 anni quando mio padre morì, ma ricordo bene il rituale del tè di ogni pomeriggio e le nostre conversazioni in inglese”, racconta Isabella Bambara De Luca. width=Donna minuta Isabella, con un temperamento audace forse ereditato dallo zio Attilio Castrogiovanni, fratello di sua madre, a metà del Novecento fra i dirigenti del Movimento indipendentista siciliano al fianco di Antonio Canepa. Da Attilio e Giulia, Isabella ha avuto in eredità la bella casa di campagna e la tenuta – oggi di 60 ettari – dove ha realizzato l’ambizioso progetto, condiviso con i figli Sergio e Stefania, di coltivare anche la pianta del tè.È una particolare specie di camelia con foglie più piccole e fiori più semplici delle camelie ornamentali. L’idea di Isabella ha trovato il sostegno di Giulio Crespi, architetto paesaggista milanese innamorato della Sicilia tanto da aver scelto di viverci. “Nella zona di Giarre e Sant’Alfio ci sono camelie antiche che vivono, fioriscono e prosperano grazie all’acidità del terreno, le notti fresche e l’abbondanza d’acqua – spiega -. Ho trovato bellissimi esemplari di Camellia japonica e ho informato la Società italiana della camelia che ha mostrato grande interesse”. Società di cui oggi fa parte anche Isabella, merito di certo delle sue camelie del tè. “Non è una coltivazione intensiva come per nessun albero da frutto qui. Sarà quindi una produzione di nicchia per amatori”, dice Isabella che ha in progetto di creare un percorso botanico tra le camelie del tè e uno spazio per la degustazione della bevanda che “risveglia gli umori e i pensieri saggi, rinfresca il corpo e placa lo spirito”. Parola dell’imperatore cinese Shen Nong.