◉ PALERMO

La cancellata di villa Garibaldi e quel festoso boschetto cinquecentesco

Prima della grande spianata nel centro di Palermo in cui ebbero luogo le esecuzioni capitali e i rodei, in piazza Marina c’era un'area verde artificiale con daini, lupi e cinghiali che venivano liberati durante alcuni eventi solenni

19 Giugno 2023

 *L’immaginario palermitano è profondamente legato a piazza Marina, luogo in cui si realizzò il primo contatto della città col mare. D’altronde, con “passeggiata alla Marina” s’intendeva indicare, prima ancora che l’attuale Foro Italico (la cinquecentesca Strada Colonna) questo grande spazio urbano denominata, appunto, Plateia marittima. Non è casuale che in esso si realizzassero e consolidassero pratiche politiche, come il dare luogo a feste, sagre ed esecuzioni capitali, secondo l’antico adagio di “festa, farina e forca”.

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Oggi la piazza è uno dei luoghi che i turisti e i palermitani amano di più, non solo per i tanti palazzi storici che la circondano, ma anche per l’atmosfera che si respira. A impreziosire tutto, oltre i secolari alberi di Villa Garibaldi, è anche la sua splendida cancellata, un’elegante opera disegnata dall’architetto Giovan Battista Filippo Basile e i cui modelli in legno, poi fusi dalla Fonderia Oretea, vennero predisposti dall’architetto Salvatore Coco.

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Le borse da cacciatori, le frecce e gli archi, i musi dei cinghiali o il fastello di volatili a testa in giù, ci rammentano – per chi avesse voglia di comprendere cosa si nasconde dietro questo armamentario – il fatto che nel luogo in cui prospera l’attuale giardino, ancora prima della grande spianata in cui ebbero luogo le esecuzioni capitali e i rodei, nel Cinquecento fu impiantato un affascinante boschetto nato dalla bonifica di un’originaria area paludosa; zona ormai ridotta ad ammasso di detriti che le piogge torrenziali, per mezzo dei fiumi Kemonia e Cannizzaro, avevano spinto a valle.

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Il boschetto artificiale era animato da conigli e pernici che venivano liberati durante alcune manifestazioni solenni, insieme ad altri animali, quali daini, volpi, lupi e cinghiali, per essere poi cacciati e uccisi. Tra le manifestazioni che si svolsero in piazza Marina si ricordano le nozze che nel 1542 vennero celebrate tra l’infante aragonese, Diana Folch de Cardona, e il settenne Don Cesare Gonzaga, primogenito del viceré Ferrante I Gonzaga (quella di Diana fu una storia tragica, che ricorda per certi aspetti la storia di Laura Lanza di Trabia, la nota baronessa di Carini).

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Un’altra importante festa fu quella che ebbe luogo il 14 febbraio nel 1574 per celebrare le nozze tra il marchese di Geraci e Anna d’Aragona Tagliavia, figlia del suo tutore, il duca di Terranova. Ma vi fu un evento che prima degli altri rimase impresso nell’immaginario del popolo palermitano e che i diaristi del tempo ricordarono sempre: i tre giorni di festa organizzati nel 1562 dal viceré Giovanni de la Cerda, duca di Medinaceli, per le nozze delle sue figlie col duca di Bivona e col duca di Montalto.Una festa in cui, oltre al solito bosco artificiale, vennero approntati alloggi per contadini e pastori, strutture stabili affinché gli aristocratici potessero assistere alle diverse attività venatorie. Il tutto si concluse con una grande rappresentazione teatrale in onore di Venere e Cupido. “Amore” e Afrodite, alla fine della festa, vennero portati a bordo di un carro trionfale, seguito da un corteo di ninfe che cavalcavano cento cavalli bianchi.

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Ora, non sembra affatto casuale che tra i tanti animali cacciati, oltre alla selvaggina, sulla base della cancellata vi sia impresso, ad intervalli regolari, solo il cinghiale. Si tratta di un’immagine che assume non solo un valore simbolico, ma anche encomiastico poiché, oltre a ricordare la caccia al cinghiale, sembra voglia rendere omaggio quell’indimenticabile tre giorni voluta dal viceré de la Cerda. A venirci incontro, in tal senso, è la storia araldica della famiglia stessa. Il cognome “de la Cerda”, infatti, sembra che fosse stato assunto dall’antico discendente del viceré Giovanni come soprannome, per il fatto di essere nato con pelo nel petto, pelo che ricordava le setole di maiale (“cerdo” è il termine con cui in spagnolo viene indicato il maiale).Insomma, l’arte non crea mai nulla di casuale, anche quando ciò che spesso ci sta di fronte può apparire incomprensibile. Un semplice lavoro d’intarsio o l’alternarsi di figure fuse nel ferro possono raccontare storie che ormai si sono perse nel tempo.

*Docente e scrittore