L’arte di Antonio Cutino, inno alla Palermo che non c’è più

Inaugurata a Villa Whitaker una mostra antologica con un'ottantina di opere del pittore, tra tele, disegni e manifesti pubblicitari

di Guido Fiorito

27 Novembre 2019

Un vialetto coperto, una passerella di legno, le immagini dei quadri collegate con i versi dei grandi poeti del Novecento. Si giunge in quello che era il padiglione dedicato alla grande passione, assieme all’archeologia, di Joseph Whitaker, lo scopritore di Mozia. Ovvero l’ornitologia. Gli uccelli da lui studiati e impagliati sono dispersi nelle collezioni del Nord Europa, perché Palermo non fu capace di trattenerli. Varcata la soglia si è colpiti dalla luce delle tele. Villa Whitaker ospita fino al 19 gennaio, una mostra antologica di Antonio Cutino. La seconda dopo la morte, avvenuta nel 1984, la precedente essendo stata ospitata da palazzo Branciforte nel 2005, nel centenario della nascita.

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Autoritratto, 1946

Un’occasione per valutare meglio questo pittore di grande talento, ma messo da parte dai riflettori novecenteschi occupati dalle avanguardie, dalle rivoluzioni delle forme, fino al disciogliersi delle figure nell’astratto. Cutino è, invece, ancorato alla realtà, come riassume il titolo della mostra: “Nel segno della tradizione”. Nato a New York nel 1905 da genitori siciliani, aveva fatto il percorso inverso sull’Atlantico, stabilendosi a Palermo e studiando all’Accademia, compagno di corso di Alfonso Amorelli, Antonio Guarino e Francesco Camarda, di cui restò amico tutta la vita. Tranne una parentesi per studiare le tecniche del nudo all’Accademia di Roma, visse sempre in città dove lavorò per numerosi committenti.
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Chiesetta a Villa Tasca, 1964

“Cutino – dice Giacomo Fanale, il curatore della mostra – dipinge la Palermo del Novecento con le sue sfumature e le sue contraddizioni. Nelle sue tele sono paesaggi scomparsi, pezzi di città che non esistono più. La sua opera è ispirata dalla tradizione tardo ottocentesca e riflette il suo carattere di persona schiva, con qualche vena malinconica. Accanto a paesaggi assolati ci sono altri che cercano di catturare le suggestioni del tramonto. Era molto attento a rappresentare la luce. Nelle nature morte e in alcuni ritratti, come quello della moglie del 1932, si colgono influenze più moderne delle esperienze di valori plastici”. Nella vasta produzione di Cutino, sono state scelte una ottantina di opere, tele, disegni, opere pubblicitarie, con l’indispensabile aiuto della figlia Liliana, custode attenta della memoria dell’artista.
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Natura morta con uva, 1961

“Palermo – dice Emmanuele Francesco Maria Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro, che ha organizzato la mostra con Fondazione cultura e arte e Fondazione Whitaker – è un luogo magico e Cutino l’ha rappresentato con grande lirismo, raggiungendo l’eccellenza nei paesaggi e nella rappresentazione di momenti di vita quotidiana caratteristici della Sicilia”.
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Manifesto pubblicitario

Sensibile alla rappresentazione idilliaca della bellezza femminile, dai ritratti ai nudi, autore di nature morte vicine alla nitidezza di Casorati, Cutino fu grafico di eccellente bravura. La sezione dedicata a queste opere è sorprendente. Si scopre un Cutino più attento al segno moderno. Per esempio la pubblicità essenziale e potente per l’Istituto Ottico Randazzo. Le sue donne ci sorridono ancora, con viva e eterna bellezza, dai manifesti del vino di Sicilia oppure legati al turismo, ricordandoci gli anni Cinquanta. Poi la città cannibale si mangerà la Conca d’oro che ancora splende nei quadri di Cutino, ultimo testimone, tra giardini, fiori e muretti di tufo assolati.