Quei 45 “arrusi” catanesi mandati al confino nell’Italia fascista

La ricerca della fotografa Luana Rigolli è stata raccontata in un articolo sul National Geographic. Rivivono le storie di chi fu perseguitato per il proprio orientamento sessuale

di Livio Grasso

6 Luglio 2021

Un progetto tra documentazione fotografica e ricostruzione storica che racconta le persecuzioni di chi, durante il regime fascista, fu emarginato per il proprio orientamento sessuale. Erano gli “arrusi” catanesi, che, intorno alla fine degli anni ‘30 e gli inizi del ‘40, furono confinati nelle isole Tremiti, al largo della Puglia. La loro storia è rimasta sepolta per molto tempo, oscurando un passato che la fotografa piacentina Luana Rigolli ha contribuito a far riemergere dall’oblio con il progetto “L’isola degli arrusi”.

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La mostra “L’isola degli arrusi”

Tutto nasce quando l’artista, durante una ricerca sull’architettura fascista, s’imbatte per caso in un libro intitolato “La città e l’isola”, che ripercorre le vicende storiche degli omosessuali condannati al confino. Le fonti raccontano che Catania è stata la località con il più tasso alto di arresti: ben 45 persone accusate di “pederastia passiva”. La fotografa decide di raccontare le loro storie e vola nel capoluogo etneo per fotografare tutti i luoghi del tempo frequentati dagli omosessuali, raccogliendo materiale prezioso per una precisa ricostruzione storica dei fatti.Le sue indagini all’Archivio Centrale di Stato hanno restituito una gran mole di documenti: schede biografiche, lettere di supplica, verbali della polizia, ispezioni mediche. Inflessibile promotore della “caccia agli arrusi” fu l’allora questore Alfonso Molina. A San Domino, isola delle Tremiti, sono ancora visibili alcuni casermoni in cui venivano costretti a vivere i reclusi, in pessime condizioni igieniche e senza adeguati servizi. Nel lavoro della fotografa, inoltre, viene citata una casa agricola, gestita da un tale Vittorio Carducci, dove alcuni prigionieri lavoravano, ricevendo una misera paga in cambio di faticose attività quotidiane.
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Luana Rigolli

Sono state recuperate diverse lettere di supplica scritte anche dai parenti degli arrestati che imploravano il duce perché estinguesse la pena e facesse tornare a casa i propri familiari. Luana Rigolli, durante la sua ricerca, ha raccolto molte fotografie che ritraggono non solo i volti dei confinati, ma anche oggetti utilizzati per le visite mediche e le strutture dove vivevano gli esiliati, tra cui la tenuta agricola della famiglia Carducci. “Questa ricerca – spiega la fotografa – rappresenta una profonda occasione di riflessione sulle ingiustizie che hanno caratterizzato quell’epoca storica. Spero che l’orrore di quanto accaduto sotto il regime fascista possa fungere da potente stimolo per superare questa terribile discriminazione ”.
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L’articolo sul National Geographic Olanda

Il progetto, che ha fatto parte della scorsa edizione del festival Le Vie dei Tesori a Catania, è stato recentemente raccontato anche dal “National Geographic Olanda” con un articolo a firma di Bart Gielen e dal 12 luglio sarà in mostra nello spazio esterno del ristorante-caffè letterario La Galleria di Cefalù. “Sono contenta che questo articolo sia stato pubblicato proprio in questi giorni, in cui in Italia si parla del decreto Zan contro l’omotransfobia – scrive la fotografa in un post su Facebook – . Questo permetterebbe di non ricadere più in questo errore, successo in Italia solo 80 anni fa”.La mostra “L’isola degli arrusi” è stata esposta al Tabarè di Catania, associazione culturale fondata nel 2015 da cinque artiste catanesi per promuovere il Made in Sicily. L’allestimento catanese è stato frutto di uno studio d’archivio portato avanti da Cono Cinquemani, cantautore, autore e regista, ideatore del “Pronto Soccorso Letterario”. “Siamo rimasti entusiasti della mostra – dice Ljubiza Mezzatesta, architetto e artista, tra le fondatrici di Tabarè – ma soprattutto è stato toccante vedere la commozione nei volti dei visitatori davanti a storie di così grande dolore. Il progetto di Luana Rigolli – prosegue l’artista – può essere un potente veicolo per sensibilizzare la coscienza collettiva sul tema dell’omofobia, depurandola da ogni pregiudizio”.