Quel crocifisso bizantino che parlava ai frati
Il santuario di Gibilmanna, a due passi da Cefalù, è uno scrigno di opere d'arte che racconta storie di miracoli e devozione
di Giulio Giallombardo
4 Marzo 2020
Attesi, invocati o raccontati, i miracoli forgiano l’anima di un luogo. Al di là di ogni credenza o scetticismo, sono incisi nella storia. Come a Gibilmanna, dove il santuario dedicato alla Santissima Vergine, che abbraccia idealmente il vicino Cristo Pantocratore del duomo di Cefalù, è stato nei secoli testimone di un culto che ha lasciato il segno. Un luogo dove le storie di eventi prodigiosi si tramandano nel tempo, come quella di un crocifisso “parlante” che le cronache riportano accaduta nella seconda metà del Cinquecento. Esposto in una nicchia nella cappella dedicata alla Madonna, protetto da un vetro, c’è un crocifisso bizantino in legno, di manifattura siciliana, risalente al XIV secolo.
Secondo la tradizione, alla fine del Cinquecento, quando ormai nel santuario si erano già stabiliti i frati cappuccini, durante una preghiera gli eremiti si rivolsero al crocifisso perché potesse essere soddisfatto il loro bisogno di cibo. Dopo la messa – riportano le cronache del tempo – dal crocifisso risuonò una voce che, rivolta a uno dei frati, disse: “Qui governa mia madre, a lei rivolgi le tue preghiere per i bisogni della famiglia”. Frase che è anche riportata nella didascalia sotto il crocifisso. Ma nella metà del Settecento, il santuario fu teatro di un altro ben più importante e documentato miracolo. La forte devozione verso la Madonna di Gibilmanna indusse il vescovo di Cefalù, don Gioacchino Castelli a incoronare solennemente la Vergine e il Bambino Gesù con le corone pervenute dal Vaticano il 15 agosto del 1760. Nel corso della partecipata celebrazione – narrano i documenti dell’epoca – due ciechi e un muto riacquistarono rispettivamente la vista e la parola. Subito dopo, il vescovo si tolse l’anello e lo mise alle dita della statua della Madonna, fece lo stesso con la croce pettorale che destinò al Bambino. Dopo questo episodio, i frati vollero ringraziare la Vergine erigendo il grande altare barocco realizzato da Baldassarre Pampilonia, su progetto di Paolo Amato, che ancora adesso si staglia sfarzoso nella cappella della Madonna. Destinato ad una cappella della cattedrale di Palermo e poi trasportato a Gibilmanna, l’altare in marmi mischi comprende le statue in marmo di San Giovanni Battista, opera di Scipione Casella, e di Sant’Elena, opera di Fazio Gagini provenienti dalla cattedrale palermitana, in seguito al rinnovo della Cappella Madonna Libera Inferni del 1785. Al centro troneggia la statua della Madonna col Bambino del 1534, attribuita da diversi studiosi ad Antonello Gagini.