Quel trittico rubato e il suo tortuoso viaggio per l’Italia
L'opera di Jan Gossaert è una delle più pregiate di Palazzo Abatellis. L'arrivo nel museo palermitano è preceduto da un peregrinare di città in città
di Emanuele Drago
13 Novembre 2020
Al centro della sala dei trittici di scuola fiamminga, sacrificato dal riflesso del vetro protettivo, si trova una delle perle di Palazzo Abatellis, ovvero il trittico Malvagna, noto anche come trittico Mabuse, dallo pseudonimo con cui si faceva chiamare il pittore che lo ha realizzato, Jan Gossaert. La storia del suo arrivo nel museo palermitano è preceduta da un lungo peregrinare in altri luoghi, in una vicenda che un po’ ricalca la storia dello splendido ariete in bronzo presente al museo archeologico Salinas di piazza Olivella. È probabile che il trittico già nel Cinquecento si trovasse a Palermo; e ciò è avvalorato dal fatto che il massimo protettore del pittore fosse quel Jan Carondelet, ritratto dallo stesso Mabuse in un dittico esposto al Louvre, il cui figlio divenne arcivescovo di Palermo, ma che non mise mai piede in città; sebbene ciò non gli impedì di costruire a Mechelen, una località in provincia di Anversa, la sua dimora a cui diede proprio il nome di Hof van Palermo.
Ma due secoli dopo, questa intensa miniatura che presenta una scrupolosa cura nei dettagli e nei colori, si trovava nuovamente a Palermo, dopo varie peregrinazioni, all’interno della dimora di via Lungarini, nel palazzo di don Alessandro Migliaccio e Galletti, principe di Malvagna, il quale lo aveva riottenuto e fatto rientrare da Messina, per via dotale, dalla dimora di Pietro Lanza di Trabia, palermitano imparentato con le più illustri famiglie aristocratiche della città dello Stretto. Sembra che in origine il quadro avesse iniziato il suo lungo e tortuoso giro per l’Italia, a causa di un domestico di casa Malvagna, il quale, dopo averlo trafugato dovette venderlo a qualche “segreto” committente.Fu così che il prezioso trittico raggiunse prima Roma e poi Firenze, città in cui venne accolto dal Granduca di toscana, Cosimo III, all’interno della collezione medicea. Poi, come già accennato, dopo la parentesi messinese il trittico tornò a Palermo finché, a partire dal 1866, Alessandro Migliaccio non decise di donarlo al Museo Nazionale della città. Ma andiamo all’opera. La straordinarietà del trittico del Mabuse sta tutta quanta nella delicata eleganza dei particolari. Una scena di “maniera” nella quale, dentro una cornice in legno distinta in tre diversi scomparti, è possibile scorgere al centro la Vergine col bambino, attorniata da angioletti e musici (le cui fattezze rimandano all’altra Vergine che lo stesso Mabuse ritrasse ne l’Adorazione dei Magi e che oggi si trova esposta presso la National Gallery di Londra) e ai lati, sulla destra Santa Dorotea e sulla sinistra Santa Caterina. A loro volta le tre figure si trovano incastonate dentro una struttura in oro, una sorta di pagoda posticcia che ha come chiaro intento quello di accentuare la dimensione prospettica, in una sorta di 3D ante litteram, della tavola dipinta.È evidente come il trittico del museo Abatellis sia un’opera in cui i valori cristiani vengono mediati da un raffinato contesto alto borghese: la scena ha infatti come protagoniste tre figure femminili, che alludono alle tre Grazie, agghindate con vesti pregiate e dall’acceso cromatismo. Le due sante e la Vergine, in uno sfondo paradisiaco solo intuito, oltre a pregare, sono chiaramente intente a svolgere le attività del loro proficuo passatempo: far giocare i bambini, esercitare l’arte del ricamo o raccogliere i frutti e tutto quel bendidìo che i possedimenti terrieri offrivano loro. Insomma, uno scenario davvero paradisiaco che, paradosso dell’arte vuole, sembra contrapporsi a quella scena che invece viene rappresentata sul retro del trittico (la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso); scena che fu fatta aggiungere, con tanto di stemma del casato dei Lanza, il leone rampante, da Pietro Lanza di Trabia, traendo spunto da una xilografia che era stata realizzata dal celeberrimo Albrecht Dürer.*Docente e scrittore