A Poggioreale si ripete il rito degli altari di San Giuseppe
In occasione del 19 marzo, la comunità belicina celebra antiche tradizioni che mescolano cibo e devozione. Scenografici banchetti, arricchiti da fiori, drappi, rami d’alloro e dai fitti intarsi degli “squartucciati”
17 Marzo 2022
In occasione del 19 marzo, la comunità belicina celebra antiche tradizioni che mescolano cibo e devozione. Scenografici banchetti, arricchiti da fiori, drappi, rami d’alloro e dai fitti intarsi degli “squartucciati”
di Ornella ReitanoOgni anno il 19 marzo a Poggioreale, come in altri centri della Valle del Belìce, San Giuseppe viene onorato e festeggiato come padre della Provvidenza. In molte famiglie, per voto o per grazia ricevuta si prepara un altare (“artari”, come tradizionalmente chiamato in siciliano), lo si adorna con drappi e tovaglie ricamate e lo si arricchisce con fiori e rami di alloro, pianta da sempre considerata sacra.
Oggi, nei nuovi paesi ricostruiti dopo il terremoto del 1968, è divenuta usanza preparare gli altari di quartiere dividendo la somma che serve a realizzarli tra le diverse famiglie. Al centro dell’altare troneggia un quadro raffigurante il santo o la Sacra Famiglia e sui ripiani dell’altare una varia abbondanza di pietanze e piatti gustosi. Fanno bella mostra di sé i “cucciddati” ossia dei buccellati più o meno grandi, dal peso di otto-dieci chili: una specialità di pane che dura per molti giorni. Il numero dei buccellati varia a seconda del voto e va da un minimo di tre che è il numero della Sacra Famiglia in poi.A seguire le primizie, poi le frittate di asparagi, broccoli, carciofi e cardi, tanta frutta di stagione e infine un tripudio di dolci fatti in casa tra i quali le cassatelle, le pignolate, le sfinci, le torte, i cannoli di ricotta. Ai laterali dell’altare spiccano vasi con fiori di balaco (violaciocca), calle, ciclamini e “lu lavuri” cioè i germogli di grano tenuti al buio per mantenerli verdi. Accanto al pane si può ammirare il lavoro di intarsio degli “squartucciati”, foglie di pasta ripiene di fichi tritati, a forma di cuori, bastoni, palme, croci, pesce, pavone, ostensori, che rappresentano la verginità, il martirio, la purezza, simboli tutti legati alla vita del santo e della Sacra Famiglia.Le donne, aiutate da parenti e vicini di casa, dedicano diversi giorni alla preparazione di queste meraviglie. Tra due fogli di pasta sottile viene messo un ripieno di fichi secchi ben tritati; la parte superiore viene “squartucciata” cioè intagliata con dei temperini finissimi che fanno risaltare i disegni di fiori, gigli, margherite, gelsomini, rose, insomma un vero ricamo. Nella tecnica dello “squartucciato” sono esperte le donne poggiorealesi, le quali, per tramandare ai giovani di oggi le tradizioni più belle, organizzano mostre e promuovono corsi anche nelle scuole. È un lavoro certosino che richiede tempo e maestria perché nell’intagliare la pasta occorre fare attenzione a non romperla, e deve essere praticato un unico tracciato per tutto lo “squartucciato”. Anche gli uomini fanno la loro parte andando in campagna a raccogliere asparagi e verdure varie.La sera della vigilia della festa per le vie del paese è un via vai di gente che va a visitare gli altari delle famiglie o nei quartieri dove vengono offerti “ciciri” (ceci), “favi caliati” (fave tostate) e dolci. Il giorno della festa dopo la messa, al pranzo partecipano tre persone bisognose che rappresentano la Sacra Famiglia. Anche il pranzo è particolare: bucatini con sugo di finocchietti selvatici arricchiti con riso e fagioli, il tutto cosparso di “muddica atturrata” (pangrattato brustolito). Questa pasta viene anche divisa nei quartieri tra i vicini di casa e i parenti. Il pranzo comincia con tre spicchi di arancia che simboleggiano la Trinità e continua svuotando via via le pietanze sull’altare. Nel pomeriggio si va tutti quanti alla processione e si accompagna San Giuseppe per le vie del paese cantando il rosario in siciliano.