Addio Camilleri, Tiresia dei nostri tempi
Lo scrittore empedoclino è morto lasciando una vasta eredità letteraria, dove la Sicilia è protagonista indiscussa, tra ironia e disincanto
di Giulio Giallombardo
17 Luglio 2019
“Penso al paradiso: il paesaggio rasenterebbe la sicilianità visiva. Montalbano me lo immagino disoccupato, circondato da un placido volteggiare di anatre. E una tazzina di caffè fumante”. Parola di Andrea Camilleri, in un articolo di qualche anno fa pubblicato sul Corriere della Sera. Un’immagine dell’aldilà intrisa dell’Isola dove era nato e che amava visceralmente. Lo scrittore empedoclino, a un mese esatto dal ricovero per arresto cardiaco all’ospedale Santo Spirito di Roma, è morto questa mattina. Aveva 93 anni e lascia la moglie e le tre figlie che lo hanno assistito fino all’ultimo.“Non ho paura di morire. Accogliere la morte come un atto dovuto è saggezza, farlo invece con timore e ritrosia è come essere già morti”. Aveva confessato lo scrittore in un’intervista radiofonica, con quel disincanto che lo contraddistingueva. Un compagno di vita con cui aveva convissuto insieme all’ironia, che scorre tra le righe dei suoi libri. Ma la vocazione artistica di Camilleri era una soltanto: raccontare storie. Farlo con lucidità e spirito critico, ma non senza nostalgia e dolcezza. Una missione che ha voluto portare avanti non solo nei tantissimi libri, tutti pubblicati in età matura, ma anche con le numerose interviste, che generosamente rilasciava (qui un’intervista inedita che abbiamo pubblicato l’anno scorso).
Ogni occasione era buona per raccontare aneddoti, curiosità, ricordi, dove la Sicilia era quasi sempre, se non protagonista, almeno sullo sfondo. Fino all’ultimo grande racconto, l’anno scorso, a Siracusa, dove con la sua “Conversazione su Tiresia” aveva incantato i diecimila spettatori del Teatro Greco. La cecità dell’indovino tebano, punito perché rivelava i segreti degli dei, era la stessa che aveva afflitto lo scrittore negli ultimi anni. Un’affinità elettiva da cui scaturisce una riflessione ad alta voce sul tempo, sulla memoria e sulla profezia. “Da quando Zeus, o chi ne fa le veci, ha deciso di togliermi di nuovo la vista – scriveva – questa volta a novant’anni, ho sentito l’urgenza di riuscire a capire cosa sia l’eternità e solo venendo qui posso intuirla, solo su queste pietre eterne”.Ma la vera fortuna letteraria del “grande vecchio” di Porto Empedocle inizia nel 1994, anno di nascita del commissario Montalbano, nelle pagine de “La forma dell’acqua”. Quattro anni dopo, anche grazie alla serie televisiva con Luca Zingaretti, che ha dato corpo e volto al personaggio, esplode uno dei casi editoriali più importanti degli ultimi anni. La Sicilia di Camilleri mette da parte lo stereotipo di terra di mafia, intesa come “impero del male totalizzante”, come ha osservato il giornalista Francesco La Licata, per non cadere nella trappola di una celebrazione indiretta di Cosa nostra. “La mafia non emerge nei racconti con il commissario Montalbano – osserva La Licata – nel senso che il mafioso non è mai il protagonista delle storie. Tuttavia l’onorata società non è che non esista nelle trame: c’è ma non sta in primo piano per esplicita volontà dell’autore che dichiara apertamente di non voler contribuire al consolidamento del mito della mafia”.Così risalta la Sicilia del mare cristallino, del sole abbagliante e della buona tavola, un po’ da souvenir a dire il vero, ma comunque autentica e senza artifici. Diventano comuni a tutta Italia (e non solo) anche certe parole in vernacolo siciliano di cui sono disseminati i trenta romanzi che hanno come protagonista il commissario di Vigata. Complementari al filone di Montalbano, ci sono poi i saggi e romanzi storici a partire da “Un filo di fumo”, pubblicato nel 1980, passando per “La strage dimenticata”, “La stagione della caccia” e “Il birraio di Preston”, fino ad arrivare a “La presa di Macallè”, ambientati, tranne quest’ultimo, soprattutto nella Sicilia di fine Ottocento.Scompare una penna eclettica e sagace, sempre ancorata all’attualità, che non aveva risparmiato recentemente critiche al governo, suscitando non poche polemiche. Un intellettuale a tutto tondo, che parlava senza fronzoli, dicendo sempre quello che pensava. “Se potessi vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio ‘cunto’, passare tra il pubblico con la coppola in mano”. Aveva detto Camilleri. Appena due giorni fa, il 15 luglio, avrebbe dovuto narrare alle Terme di Caracalla la sua “Autodifesa di Caino”, spettacolo poi annullato visto l’aggravarsi delle condizioni di salute. Una storia che adesso, forse, sta raccontando altrove, tra il cielo e il mare della sua Vigata.