Alla scoperta del lago Garcia, tesoro d’acqua della Valle del Belìce
L’invaso artificiale, a due passi dalla riserva naturale Grotta di Entella, è diventato negli anni rifugio di uccelli migratori. In passato al centro degli interessi del crimine organizzato, è oggi una risorsa idrica per l’intero territorio
di Lilia Ricca
28 Aprile 2022
Uno specchio d’acqua in un angolo di Sicilia che trabocca di storie e leggende. Alimentato dal fiume Belìce, all’ombra della Rocca di Entella, tra i territori di Contessa Entellina e Roccamena, il lago Garcia è uno dei più importanti invasi artificiali in Sicilia, il più grande della zona occidentale. A due passi dalla riserva naturale Grotta di Entella e punto di riferimento per gli uccelli migratori, con la sua capacità massima di 80 milioni di metri cubi d’acqua, porta acqua in case e terreni di tutto il territorio.
L’idea di un lago artificiale in questo lembo di Valle del Belìce, nasce negli anni ’60 del secolo scorso, quando viene realizzato il Lago Poma (o Jato) a Partinico, un altro dei grandi bacini artificiali della Sicilia occidentale, nato per fornire la piana di Partinico e Alcamo. Al centro di affari e interessi del crimine organizzato, la diga costruita nell’invaso fu intitolata nel 2013, su iniziativa di Legambiente, al giornalista Mario Francese, ucciso dalla mafia per aver denunciato le oscure vicende dietro alla realizzazione dell’opera. Sono gli anni ’70 del secolo scorso, i tempi in cui Danilo Dolci si batte per far uscire dall’isolamento i paesi della Valle del Belìce, in quel momento storico privi di facili vie di collegamento e costretti a vivere nella miseria. Insieme a Dolci, protagonista di lotte sociali è il sociologo Lorenzo Barbera, che organizza una serie di assemblee popolari, di cui la più famosa a Roccamena, per la realizzazione della diga sul Belìce. Così, l’opera viene realizzata tra gli inquietanti fatti di cronaca che culmineranno con l’omicidio nel 1975 del segretario della Camera del Lavoro di Roccamena, Calogero Morreale, e poi del giornalista Mario Francese, che aveva individuato nel clan dei corleonesi, i mandanti a capo della gestione degli appalti. Il progetto iniziale che prevedeva anche l’irrigazione e l’utilizzo d’acqua nei paesi della vallata, più il territorio di Contessa e le aree limitrofe al lago non è mai stato realizzato. Tutta la zona viene tagliata fuori tranne Castelvetrano, Campobello di Mazara e in parte Menfi. In tempi più recenti nasceranno nuovi progetti per irrigare i campi dei territori di Poggioreale e della vallata media: al momento un’idea rimasta incompiuta. Nelle intenzioni del Gal Belìce, uno dei più antichi strumenti per la programmazione territoriale e lo sviluppo locale – in Sicilia ci sono 23 Gal – c’è lo sviluppo e la promozione dei 12 comuni che fanno parte della rete ricadendo nell’area del Belìce. Paesi che tranne qualche eccezione sono accomunati anche dal tragico terremoto che colpì la Valle nel 1968 e dal successivo periodo di ricostruzione. Tra i comuni della rete ci sono Salemi e Caltabellotta, Sambuca e Santa Ninfa, Partanna, Poggioreale e Salaparuta, Santa Margherita di Belìce, Montevago e Menfi. Contessa e Gibellina. A cui potrebbero aggiungersi Castelvetrano, Roccamena e Campobello di Mazara, creando relazione anche con Sciacca. Ma accanto ai più recenti fatti di cronaca, il territorio racconta una storia che affonda nella notte dei tempi. L’altopiano gessoso della Rocca di Entella, è teatro di leggende come quella della principessa musulmana, figlia del califfo Muhammad Ibn Abbad, ultima presenza araba in Sicilia, che preferì suicidarsi pur di non piegarsi all’esercito di Federico II. Una donna tanto vendicativa quanto coraggiosa, che resistette ai cristiani, rifugiandosi nella fortezza di Entella, ritenuta l’ultima roccaforte dei musulmani in Sicilia, che avevano come capitale dell’emirato Jato. Secondo la tradizione, la principessa con uno stratagemma catturò 300 cavalieri di Federico II, li uccise e fece appendere le teste ai contrafforti della rocca dov’era rinchiusa. Sotto la Rocca di Entella ancora oggi scorre il fiume Belìce. Di portata molto ampia con una lunghezza di 140 chilometri, era un tempo navigabile. Dalla foce, dove oggi si trovano i resti della città di Selinunte fino all’interno verso Entella, il vasto corso d’acqua era una strada di collegamento per i naviganti, che, con barche a ghiglia bassa, attraversavano la Sicilia.