Da Piazza Armerina alla Cina: l’avventurosa vita di Intorcetta il Saggio
7 Dicembre 2021
Per la prima volta in italiano e inglese l’opera del gesuita siciliano che tradusse Confucio dal latino. Fu un grande protagonista della diffusione della cultura del Celeste Impero in Europa
di Guido Fiorito“Di nazione siciliana e patria piazzese”. Così Prospero Intorcetta volle fosse scritto sulla sua tomba, a Hangzhou, in Cina il paese dove aveva vissuto per quasi quarant’anni. Nel Seicento, il gesuita di Piazza Armerina fu il grande protagonista della diffusione della cultura del Celeste Impero in Europa. Nel 2017, il presidente Mattarella, durante la visita ufficiale in Cina, fu sorpreso dalle parole del presidente Xi Jinping che gli parlò di Intorcetta e della sua prima traduzione in latino del “Giusto mezzo”, un libro cardine del pensiero di Confucio.
Adesso questo libro è stato tradotto per la prima volta in italiano e in inglese per una iniziativa della Fondazione Federico II, curata dal filologo Rodney Lokaj e dal sinologo Alessandro Tosco. “Zhongyong” ovvero “La costante pratica del giusto mezzo” è il titolo dell’opera e la traduzione contribuisce a rilanciare la figura di Intorcetta che, negli ultimi anni, sta uscendo dalla polvere secolare, grazie anche alla Fondazione che porta il suo nome con sede a Piazza Armerina.La presentazione del libro, nella sede dell’Oratorio di Sant’Elena e Costantino, con i vertici della Fondazione Federico II, il presidente Gianfranco Miccichè e il direttore Patrizia Monterosso, e quelli della università Kore di Enna con il rettore Giovanni Puglisi, ha raccontato le difficoltà della traduzione. “Negli ideogrammi – ha spiegato Tosco – non c’è maschile e femminile, singolare e plurale, né coniugazione dei verbi”. Inoltre, in qualche punto, il gesuita si è discostato dalla traduzione letterale per utilizzare termini più vicini alla tradizione cristiana. Il testo veniva usato anche per insegnare il cinese.Partendo dalla natia Piazza Armerina, Intorcetta visse avventurosamente in Oriente. A 32 anni, giovane sacerdote della Compagnia di Gesù, si imbarca da Vidigueira (Portogallo) sulla nave “Bom Jesus” con altri sedici missionari di diverse nazionalità. Rimarrà in Cina quasi quarant’anni, con alterne vicende: a Nachang, nello Jiangxi, edifica una chiesa ma dopo sei anni viene distrutta e il gesuita, considerato capo di una sedizione, arrestato. Riesce a tornare in Italia, raggiungendo Palermo nel 1671. È il primo a tradurre in latino le opere di Confucio, che ammira. Due anni dopo riparte per la Cina. Sulla nave è uno dei due sopravvissuti a una pestilenza. In Cina ricopre importanti cariche dell’ordine di Sant’Ignazio di Loyola, incontra l’imperatore, sopravvive a un’altra persecuzione, per morire a 71 anni nel 1696.Il ritorno a Palermo, esattamente 350 anni fa, nella città dove da ragazzo aveva studiato al collegio di San Francesco Saverio, è importante per vari motivi. Di quella visita rimane alla Biblioteca comunale di Palermo un ritratto, di autore anonimo, di cui è stato di recente presentato il restauro. Intorcetta è raffigurato con barba e capelli lunghi, per distinguersi dai bonzi. Porta un berretto da letterato cinese e tiene in mano un ventaglio con incisi ideogrammi. “Le donne ai lati – spiega padre Gianni Notari, direttore dell’istituto Arrupe – sono simboliche: una indica una croce e quindi la religione cristiana, l’altra tiene un lungo foglio con ideogrammi che rappresenta la sapienza cinese”.A Palermo, Intorcetta consegna ai confratelli di Casa Professa, una copia del suo libro Sinarum Scientia Politico Moralis, di cui esistono solo otto esemplari al mondo, e che adesso è conservata nel fondo rari della Biblioteca Bombace. Gli studiosi concordano sul fatto che l’opera di Intorcetta intendesse aprire un dialogo con la cultura cinese, il presupposto per comprendersi e coltivare la pace. Seguendo il giusto mezzo che è una via della saggezza, per raggiungere l’equilibrio interiore. E infatti era chiamato Yin Duoze, Juesi, ovvero Intorcetta Il Saggio.