◉ STORIE
L’Etna bianco ad agosto, quando la neve del vulcano era “la migliore della Sicilia”
Il paradosso climatico di questi giorni di fine agosto, con una grandinata fitta in vetta e caldo asfissiante in città, rimanda all’epoca in cui erano floridi i commerci dei “nevaioli”. A ricordare un mestiere ormai scomparso un avviso storico del 1903 custodito a Giarre
di Ruggero Altavilla
30 Agosto 2024
Lo spettacolo dell’Etna imbiancato in questi giorni di fine agosto, mentre Catania è avvolta dall’afa, è l’ennesimo regalo di uno dei vulcani più affascinanti del Pianeta. Il paradosso climatico è frutto di una grandinata tanto fitta da sembrare neve sulle vette e di una cappa d’afa tremila metri più sotto, con elevati tassi di umidità. Le immagini del cono spruzzato di bianco fuori stagione, evocano i tempi in cui la neve dell’Etna era considerata un’eccellenza, venduta quattro lire ogni cento chili.
Tra gli antichi mestieri scomparsi c’era quello del nevaiolo che sparì con l’avvento di frigoriferi e congelatori. A ricordare l’epoca in cui questi commerci erano floridi e la concorrenza agguerrita è un avviso dell’1 maggio 1903 affisso al Comune di Giarre – come ricorda lo storico Davide Drago in un articolo su CataniaToday – e ripreso su diversi profili e pagine dei social. “Preferite la neve dell’Etna”, è il monito che campeggia con tre punti esclamativi sotto un’immagine del vulcano.
“Avendo infossata, nelle nostre neviere, una grande quantità di neve dell’Etna, bianchissima, compatta e senza verun corpo estraneo, ci pregiamo avvisare cotesti rivenditori, che la cediamo al prezzo ristrettissimo di L.4 per ogni 100 Kg. posta alla stazione di Giarre, restando tutte le spese a carico del destinatario – si legge nell’avviso – . La neve dell’Etna è la migliore della Sicilia, tanto che esistono delle deliberazioni di molti Consigli Comunali che ordinano il consumo del Comune la sola Neve dell’Etna vietandone il consumo di quella di altri luoghi perché nociva”.
Un messaggio che sa di bufala e pubblicità scorretta, per un mercato un tempo florido. La neve in estate veniva grattata e mischiata con succo di limone o altri succhi di frutta fino a farla diventare una vera e propria granita. Fino ai primi decenni del secolo scorso era molto diffuso il commercio della neve dell’Etna (e non solo). Veniva conservata nelle neviere in quota, e poi trasportata in città e nei paesi limitrofi con carretti coibentati in maniera rudimentale. “Per evitare lo scioglimento – si legge nell’Enciclopedia di Catania di Tringale Editore – i nevaioli cospargevano il fondo del carro con uno strato di carbonella, ricoperto a sua volta di felci; al di sopra di quest’ultime si disponeva la neve avvolta in un telo di canapa protetto superiormente da un altro strato di felci. Il commercio e l’uso della neve a Catania e nel resto della Sicilia furono proibiti, per motivi igienici, dopo la seconda guerra mondiale”.
Ma la produzione di neve da utilizzare come ghiaccio nei mesi estivi, è documentata in Sicilia anche in tempi più antichi, già a partire dal Quattrocento. Tracce di neviere sono ancora leggibili sui rilievi più importanti, dalle Madonie agli Iblei fino a Rocca Busambra. “Fu considerata alla stregua di una qualsiasi merce – scrive Luigi Lombardo nel libro ‘L’impresa della neve in Sicilia’ – . Soggetta alle leggi del mercato, fu assai presto inserita fra le gabelle più importanti delle città siciliane. Per mezzo della neve, mescolata al sale, si affermò l’arte del sorbetto, della granita e del gelato, che furono un’invenzione tutta siciliana. La neve siciliana raggiungeva molti porti del Mediterraneo tra cui l’isola di Malta”.