I testamenti dei grandi si mettono in mostra

Al Politeama Garibaldi di Palermo si potranno scoprire le ultime volontà dei personaggi che hanno fatto la storia d'Italia: da Verga a Cavour, da Garibaldi a Pirandello, fino all'ultima lettera scritta da Paolo Borsellino poche ore prima della morte

di Giulio Giallombardo

4 Ottobre 2018

Fiumi d’inchiostro che si fanno storia. Eredità e memoria di chi ha intrecciato le trame del Paese, lasciando un segno sulle vicende politiche, culturali e spirituali degli italiani. La sfera pubblica del ruolo istituzionale o dell’autorità artistica, s’incrocia con il privato degli affetti a cui donare ciò che in vita si è costruito. Così, attraverso i loro testamenti, tornano a vivere una trentina personaggi illustri, che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, hanno plasmato l’anima della Nazione.Il racconto dei loro lasciti è al centro della mostra “Io qui sottoscritto. Testamenti di grandi italiani”, curata dal Consiglio Nazionale del Notariato e dalla Fondazione Italiana del Notariato, in collaborazione con il Consiglio Notarile di Palermo e Termini Imerese. Da sabato 6 fino al 29 ottobre, la Sala degli Specchi del Politeama Garibaldi sarà arricchita da una trentina di testamenti in fotoriproduzione, di scrittori, politici, imprenditori e magistrati: da Verga a Cavour, da Garibaldi a Pirandello, passando per Verdi, D’Annunzio, De Gasperi e De Nicola, ciascuno a suo modo protagonista della storia d’Italia.La mostra, è stata in realtà realizzata per la prima volta nel 2012 in occasione dei 150 anni dell’Unità nazionale, e riproposta in diverse città, ma questa nuova edizione palermitana presenta due testamenti simbolicamente importanti per la città: il primo “spirituale” di Paolo Borsellino, con la sua ultima lettera scritta ad una professoressa di Padova poche ore prima dell’attentato di via D’Amelio; ed il secondo, stilato a norma di legge, di Ignazio Florio senior, che distribuisce tutte le sue ricchezze ai figli, Egadi comprese. width=Dunque, le memorie più intime diventano un’antologia atipica che rispecchia temperamenti, caratteri e storie eterogenee tra loro, ma accomunate dal germe dell’immortalità. C’è un lapidario Pirandello che vorrebbe “sia lasciata passare in silenzio” la sua morte: “Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso”. Oppure Garibaldi, che nel suo testamento politico dichiara di non voler “accettare in nessun tempo il ministero odioso, disprezzando e scellerato d’un prete che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare”. E ancora Verdi che chiese funerali “modestissimi” e “fatti allo spuntar del giorno o all’Ave Maria di sera senza canti e suoni”.Fino a Paolo Borsellino che il 19 luglio del 1992, rispose ad una lettera di una docente padovana, che tre mesi prima lo aveva invitato a un incontro con gli studenti del suo liceo. Invito che però non era mai arrivato. Parlando di come le nuove generazioni si confrontino con la complessità dell’Isola, Borsellino scrive: “Vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant’anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.“Suscitano commozione e sono molte le lezioni di vita che è possibile trarre dai testamenti esposti – dice Mario Marino, presidente del Consiglio Notarile di Palermo e Termini Imerese -. In particolar modo suggeriscono che la preoccupazione economica della trasmissione del patrimonio è sempre superata dal desiderio di trasmettere un lascito duraturo, un insegnamento, un ideale, uno stile di vita, ma soprattutto consegnano un ammonimento: non c’è nulla di più prezioso da lasciare agli eredi se non l’essere stati di esempio”. Un modo, anche questo, per strizzare l’occhio all’eternità.