Il nucleare fa ancora paura: quel deposito necessario, ma che nessuno vuole
Coro di proteste contro l’ipotesi del centro di stoccaggio di rifiuti radioattivi da costruire in quattro potenziali aree individuate in Sicilia
di Giulio Giallombardo
7 Gennaio 2021
Una guerra preventiva e annunciata. Il nemico è uno spettro che ritorna, di tanto in tanto, a turbare gli animi e accendere polemiche. Armi spianate contro le scorie che nessuno vuole, eredità ingombranti della seppur limitata produzione di energia nucleare di casa nostra. A far detonare la miccia, l’attesa pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito dei rifiuti radioattivi, che consentirà di stoccare i rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività. Dopo anni di ritardo, la Sogin – società pubblica che si occupa dello smantellamento degli impianti nucleari e della gestione e messa in sicurezza delle scorie – ha potuto rendere pubblica la proposta di mappa di 67 aree potenzialmente idonee ad accogliere il temutissimo deposito in cui saranno stoccati 78mila metri cubi di rifiuti nucleari, provenienti da attività ospedaliere, industriali e di ricerca (qui per visionare la mappa).
Tra le sette regioni italiane candidate, c’è anche la Sicilia, con quattro zone individuate nelle province di Trapani, Palermo e Caltanissetta, di cui – è bene sottolinearlo – nessuna è identificata con il colore verde, che indica le aree considerate più idonee rispetto ad alcuni parametri. Più precisamente, nel Trapanese, si tratta di una zona estesa 200 ettari, ricadente nel Comune di Trapani, a due passi da Fulgatore, e un’altra, un po’ più grande, di 250 ettari, alle porte del Comune di Calatafimi-Segesta. In provincia di Palermo, è stata individuata un’area di 163 ettari, in un lembo di terra ricadente nel territorio dei comuni madoniti di Petralia Sottana e Castellana Sicula, ma ben oltre i confini del Parco delle Madonie e molto più vicina ai centri nisseni di Marianopoli e Villalba. Infine, l’ultima area siciliana candidata – la più estesa, 297 ettari – si trova poco distante da Butera, in provincia di Caltanissetta. Nonostante la pubblicazione della proposta della Carta nazionale sia soltanto un primo passo, a cui seguirà un’articolata consultazione tra la Sogin, le regioni e i territori, il fronte del “no” è unanime, dalle piccole associazioni locali, ai sindaci fino ai vertici regionali. Vale poco il miraggio dei possibili benefici connessi alla realizzazione del deposito, con ricadute economiche e lavorative sul territorio, con oltre 4mila posti l’anno per quattro anni di cantiere. Valgono ancora meno le rassicurazioni sulla sicurezza dell’impianto, “una struttura a matrioska” – spiegano dal ministero dell’Ambiente – con dentro “90 costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle”, in cui “verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con all’interno i rifiuti radioattivi già condizionati”. Ma le probabilità che la Sicilia diventi sede del deposito restano, comunque, molto basse per diversi fattori, primi fra tutti l’insularità e il rischio sismico. Contro ogni ipotesi di stoccare scorie in Sicilia, il governo regionale ha convocato per oggi la giunta, che darà mandato ad un gruppo di esperti, coinvolgendo gli atenei siciliani, “di predisporre un dossier che evidenzi la superficialità dei criteri utilizzati dal ministero per l’Ambiente nella scelta dei siti”, afferma il presidente Nello Musumeci. “Abbiamo elementi tecnici inoppugnabili – prosegue il governatore – per contestare questa scelta, in contrasto con tutti gli indicatori fisici, sociali, economici e culturali dell’Isola e lo faremo anche con il coinvolgimento dei Comuni interessati, che condividono le nostre preoccupazioni”. Nonostante, in questi giorni, tutti stiano facendo le barricate, tra petizioni online e appelli sui social, una voce fuori dal coro arriva proprio dagli ambientalisti, che da tempo chiedono di trovare una corretta destinazione per i rifiuti radioattivi a bassa e media intensità, stoccati in questo momento in depositi temporanei in aree poco idonee. Sul fronte ambientale, c’è anche un precedente illustre che rassicura: il grande impianto dell’Aube, attivo dal 1992 nella regione francese dello Champagne, preso a modello dalla Sogin per realizzare il deposito nazionale. Un’opera inizialmente osteggiata dalla popolazione, in un territorio delicato, che ha portato negli anni diversi benefici, tra compensazioni economiche e turismo. “Non possiamo continuare a nascondere la polvere sotto al tappeto, è meglio continuare a tenere questi rifiuti in zone poco sicure? – si domanda Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia – . Da sei anni chiediamo di avviare questo iter, previsto dalla legge, e finalmente qualcosa si sta muovendo. Sono sul tavolo 67 ipotesi su un percorso ancora tutto da definire e che riguarderà rifiuti a bassa e media intensità. Poi, sulle scorie delle centrali nucleari, pensiamo sia giusto individuare un unico sito di stoccaggio in Europa, scelto dall’Unione, su cui è urgente trovare un accordo”. Dello stesso avviso Giuseppe Maria Amato, consulente ambientale e guida naturalistica, responsabile delle aree naturali protette di Legambiente Sicilia. “L’Italia ha da decenni un certo quantitativo di scorie immagazzinate in modo estremamente precario, in alcuni casi persino pericoloso, direi scandaloso – ha scritto il naturalista in un post su Facebook – . Tanto per fare un esempio a Saluggia, vicino a Vercelli, sono stoccati 230 metri cubi di materiale liquido altamente radioattivo in bidoni di circa 50 anni di età. L’area in cui sono stoccati è a rischio inondazione e più di una volta si è sfiorata la possibilità che il fiume, la Dora Baltea, importante affluente del Po, si portasse via qualche fusto. Questa eventualità, che diviene un incubo ad ogni forte pioggia, pone in capo all’Italia uno dei più grandi rischi nucleari d’Europa e del Mediterraneo intero”. Su posizioni più caute il Wwf Sicilia, che non nasconde la preoccupazione di un deposito nell’Isola. “Noi riteniamo che la Sicilia abbia già pagato un prezzo altissimo per le problematiche connesse all’industrializzazione, in termini di centrali termoelettriche, raffinerie e poli petrolchimici – sostiene Franco Andaloro, delegato del Wwf per la Sicilia – . Credo che il nostro territorio sia già abbastanza esposto e spero che le valutazioni tengano conto dei rischi sismici di un’isola attraversata integralmente da una faglia che ha generato negli anni numerosi e devastanti terremoti”.Adesso, dunque, è il tempo della consultazione che si preannuncia quanto mai accesa. Formalmente ci sono 60 giorni per produrre delle osservazioni da parte dei rappresentanti dei territori coinvolti. Dopo sarà il momento delle scelte, con la speranza di trovare un compromesso tra legittimi timori e buon senso.