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Non solo Rosalia: Palermo festeggia San Benedetto il Moro nei 500 anni dalla nascita
Nel vivo le celebrazioni del compatrono della città, nel convento di Santa Maria di Gesù. A quasi un anno dall’incendio che ha distrutto la chiesa, si sono conclusi i lavori di pulizia e d’inventario. Il prossimo passo è la progettazione a cura della Soprintendenza per la ricostruzione
di Guido Fiorito
25 Giugno 2024
Palermo celebra i cinquecento anni dalla nascita di San Benedetto il Moro, un santo particolare, il primo nero divenuto santo attraverso un regolare processo canonico. È una figura storica, di cui conosciamo la vita. Nato a San Fratello, nel 1524 appunto, figlio di schiavi probabilmente di origine etiope e bantu, cresce da uomo libero. Un diverso, dileggiato perché amante della solitudine e del soccorso ai più poveri. Vive tra eremi e conventi e la fama di taumaturgo e dei suoi miracoli si sparge tra la popolazione. Frate minore riformato diventa superiore, nonostante fosse quasi analfabeta, e trascorre lunghi anni a Palermo come padre guardiano al convento di Santa Maria di Gesù. La devozione si diffonde immediatamente dopo la morte nel 1589.
“Dopo dieci anni – ricorda frate Vincenzo Bruccoleri, superiore del convento alle pendici del monte Grifone – nel Centro e Sudamerica esistevano già confraternite intitolate a San Benito de Palermo”. Il grande drammaturgo spagnolo Lope de Vega nel 1611, appena 22 anni dopo la scomparsa, scrive “El Santo negro Rosambuco de la ciudad de Palermo”, ispirato da una biografia pubblicata nelle cronache francescane. Il convento di Santa Maria diventa Jesùs del Monte.
Numerosi miracoli vennero attribuiti alle sue reliquie. Un santo di fatto, tanto che il Senato palermitano lo elegge tra i patroni della città nel 1652, mentre per la chiesa diventa beato solonel 1743 e santo nel 1807. Il culto di San Benedetto il Moro, che impersona interazioni tra culture diverse, è diffuso in tutto il mondo, soprattutto in Sudamerica dove, per i discendenti degli schiavi africani deportati nelle Americhe e degli indios, rappresenta il simbolo della possibilità di riscatto.
San Benito è popolare soprattutto in Venezuela, Colombia, Brasile (Säo Benedito), Perù e anche in Messico, patrono di molti villaggi, con feste in cui i devoti si dipingono i volti di nero e sono protagonisti di balli di origine africana al suono dei tamburi, con vestiti dai colori forti. Un frate del convento di Santa Maria di Gesù andrà in Sudamerica per portare alcune reliquie del santo a queste comunità. In Europa è venerato soprattutto in Spagna e Portogallo. “Un santo di grandissima attualità – dice frate Vincenzo – che parla agli immigrati che arrivano in Italia poveri e diventano schiavi nei campi per 4 euro l’ora come quel bracciante morto in questi giorni a Latina”.
I festeggiamenti, guidati dal parroco Carmelo Iabichella, sono in corso in questa settimana, aperti da una celebrazione religiosa e da un concerto nell’atrio del convento di frate Giuseppe Di Fatta alla chitarra. Poi una fiaccolata per raggiungere l’eremo di San Benedetto il Moro, un appuntamento culturale con la storica Giovanna Fiume studiosa del processo di canonizzazione del santo. “È un anticipo – dice frate Carmelo – di due giornate di studi che si terranno il 23 e 24 ottobre alla facoltà teologica di San Giovanni e allo Steri. Si racconterà il santo nella realtà e nei suoi simboli, per quello che ha rappresentato per la chiesa di ieri e di oggi. Un santo attuale se purtroppo all’accoglienza si oppongono ancora pregiudizi sull’aspetto somatico di persone che vengono da paesi lontani e diversi dal nostro. Chiuderemo con una processione alla quale interverrà il cardinale Francesco Montenegro. Parte del corpo di San Benedetto è stato distrutto dal fuoco. Porteremo in processione una costola contenuta in un reliquiario, in attesa di recuperare gli altri resti ed esporli di nuovo in una teca”.
La ricorrenza, infatti, giunge in un momento particolare per il convento di Santa Maria di Gesù e la sua comunità di fedeli, con la chiesa di origine quattrocentesca devastata dall’incendio del 25 luglio dell’anno scorso. In questi giorni si sono conclusi i lavori di pulizia e d’inventario finanziati dall’assessorato regionale ai Beni culturali. “I quaranta centimetri di detriti non ci sono più – dice frate Vincenzo – e tutti i frammenti delle opere d’arte sono stati catalogati. In molti casi non sarà facile ricostruirle, alcune sono ridotte in briciole. Per risanare la chiesa esiste un finanziamento di 2,8 milioni dei ministeri della Cultura e delle Infrastrutture. Il prossimo passo è la progettazione a cura della Soprintendenza ai Beni culturali di Palermo. Bisognerà fare un controllo di stabilità della struttura che il fuoco ha messo a dura prova”.
Le fiamme hanno bruciato in buona parte l’antico cipresso all’eremo che la tradizione vuole sia cresciuto da un bastone del santo. Curato da fedeli e abitanti della borgata ha rifatto, come ha mostrato un drone, un getto verde in cima. Un simbolo di speranza.