Raffaello e il grande arazzo in viaggio per la Sicilia
Il maestoso manufatto seicentesco “Ananias e Saphira”, nato dal cartone di Raffaello Sanzio, lascia l'Abatellis di Palermo per fare tappa al Castello Ursino di Catania. Poi sarà nel Palazzo Ducale di Palma e al Museo Diocesano di Gerace in Calabria
di Ruggero Altavilla
25 Gennaio 2022
È stato per quattro mesi uno dei tesori più ammirati a Palazzo Abatellis. Maestoso capolavoro dalle trame preziose, il grande arazzo seicentesco “Ananias e Saphira” nato dal cartone di Raffaello Sanzio e parte della collezione privata del mecenate Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, lascia Palermo per un piccolo tour tra Sicilia e Calabria.
Attorno all’esposizione dell’arazzo è stato costruito dal direttore dell’Abatellis, Evelina De Castro e dall’architetto Giacomo Fanale, un percorso preciso che pone in relazione l’opera con i riferimenti raffaelleschi in Sicilia. Adesso, l’arazzo, con il supporto del Rotary club Palermo est e del Rotary club Catania ovest, è pronto a “traslocare”: da venerdì 11 a domenica 17 aprile sarà in mostra nella Sala delle torture di Castello Ursino a Catania e dal 21 aprile al 15 maggio a Palazzo Ducale a Palma di Montechiaro. Dal 19 maggio sarà esposto al Museo Diocesano di Gerace, in provincia di Reggio Calabria, dove nacque Luigi d’Aragona, nobile cardinale che seguì per conto di papa Leone X la realizzazione degli arazzi fiamminghi della Cappella Sistina.Prima della partenza, il progetto è stato presentato, oltre che dal direttore dell’Abatellis, anche dal referente per il Rotary Club Catania Ovest, Filippo Pappalardo; da Letizia Pace, referente per Palazzo Ducale di Palma di Montechiaro, in collegamento con l’assessore comunale alla Cultura di Catania Barbara Mirabella. Tutti hanno sottolineato l’importanza dello scambio tra diverse istituzioni, collegate sul filo della promozione del territorio attraverso la cultura. Presenti, inoltre, Cesira Palmeri in rappresentanza del prestatore Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona; il presidente della Settimana delle Culture, Salvo Viola e il curatore del progetto Giacomo Fanale.“Abbiamo messo in evidenza come il mito di Raffaello riviva in ogni epoca – ha sottolineato Evelina De Castro – e il fatto che da Palermo questo arazzo si sposti in altri siti museali, rinnova questo mito importante per la cultura italiana ed europea. È un progetto che stiamo portando avanti e daremo il nostro contributo affinché l’arazzo trovi lo stesso riscontro avuto all’Abatellis anche negli altri musei dove sarà esposto”.All’origine di questo arazzo c’è il noto progetto delle tessiture curato da Raffaello per la Cappella Sistina, al quale è stata dedicata nel febbraio 2020 la memorabile esposizione dai Musei Vaticani direttamente nella Cappella. Nasce da uno dei dieci cartoni che l’artista realizzò su incarico di papa Leone X per la Cappella Sistina (sette sono esposti al Victoria & Albert Museum di Londra). L’opera della collezione Bilotti, che gli studi di Anna Maria de Strobel e Cecilia Mazzetti di Pietralata, hanno ricondotto alle tessiture di Heinrich Mattens di Bruxelles degli anni 1620-1624, faceva parte di una serie, della quale si conosceva solo la Lapidazione di Santo Stefano nel castello di Plessis-Bourrè, ad Angers. È testimone importante della estesa fortuna che ebbero gli arazzi sistini e, con essi i cartoni oggi al Victoria & Albert Museum di Londra.Gli arazzi furono da subito celebri per la loro bellezza e alcune corti d’Europa chiesero di replicarli. Nella definizione dei modelli copiati dai cartonisti tagliati per il telaio, venivano apportate varianti negli sfondi, nelle ambientazioni o nel numero delle figure con le bordure personalizzate, mentre lo schema del soggetto veniva replicato e reso immediatamente riconoscibile. Nelle occasioni raffaellesche del Centenario, quest’opera appartenente alle collezioni è stata esposta all’Istituto Nazionale per la grafica di Roma e in un secondo tempo al Bastione Sangallo a Loreto e adesso si appresta a questo piccolo tour tra Sicilia e Calabria.L’opera raffigura la morte di Anania, fulminato da san Pietro perché colpevole di non aver consegnato alla comunità cristiana tutto il denaro ricavato dalla vendita di un fondo. La scena fu costruita per un insieme di dieci arazzi dedicati all’opera evangelizzatrice dei santi Pietro e Paolo, dai quali vennero tratti i cartoni che servirono al primo arazziere Pieter Van Aelst per la tessitura. Questo realizzato da Heinrich Mattens ‒ del quale si conservano alcuni esemplari nella Cattedrale di Tolosa ‒ presenta, rispetto ai cartoni di Raffaello, alcune modifiche negli sfondi e una ricca bordura con festoni vegetali in cui sono racchiuse varie figure allegoriche.Le mostre in programma invitano, inoltre, a una riflessione sull’arte dell’arazzo in Sicilia. Nell’Isola, la presenza di questi manufatti è prevalentemente a ricamo realizzata sulla scia della tradizione. Al Museo Civico di Termini Imerese sono esposti arazzi ricamati che raccontano le storie di Coriolano, eseguiti su cartoni del pittore termitano Vincenzo La Barbera, e provengono dal Castello di Caccamo. Altri arazzi a ricamo sono a Palermo, nelle sale di Palazzo Mirto e Villa Niscemi e in collezioni private. Esigue le presenze di arazzi a telaio poiché d’importazione. Di Bruxelles è la manifattura della serie di Marsala con scene di guerra tra Romani e Giudei. Di manifattura francese Gobelins con storie di Enea, invece, sono quelli posti a fine ‘800 nello scalone di Villa Whitaker, mentre a Monreale si trova “Il sogno di Guglielmo” di manifattura napoletana.Raffello, grande innovatore anche nella comunicazione, sosteneva la riproduzione e la diffusione dell’immagine, soggetto e composizione attraverso stampe multipli. Il tema del rapporto dell’artista con la stampa e della fortuna visiva delle sue invenzioni è uno dei più frequentati dalla critica degli ultimi decenni, incisori e artisti della stretta cerchia di Raffaello o che dallo stesso hanno derivato idee ed invenzioni, in un circolo vorticoso di rimandi tra disegno, pittura, incisione e un’ampia serie di prodotti delle cosiddette arti applicate o, come le definiva Giorgio Vasari, le “arti congeneri”.