Tesori tra cielo e mare: viaggio a Isola delle Femmine
Entrano nel vivo le attività naturalistiche e sportive nel piccolo lembo di terra che affiora al largo delle coste palermitane, tra riserva e area marina protetta
di Maria Laura Crescimanno
12 Luglio 2022
Siano state una prigione, una torre difensiva o un magazzino, quelle mura tra cielo e mare e quel lembo di roccia brulla, segnano in modo indelebile il ricordo di chi arriva in città. Le donne non c’entrano nulla con il suo nome, che va semmai collegato con Insula Phimi, dal nome Eufemio, che fu un generale bizantino. Altra comune leggenda infondata, è quella di un carcere femminile mai esistito sull’isola, i ruderi sono invece di una grande torre di difesa realizzata alla fine del XVI secolo, su progetto dell’ingegnere Camillo Camilliani, detta “torre di fuori” per distinguerla da quella cilindrica sulla terraferma.
Ha una storia molto antica Isola delle Femmine, questo lembo brullo di rocce calcaree e terra, oggi interamente vincolato e protetto, staccatosi dalla costa palermitana in ere geologiche molto antiche. Un caso singolare di isola-riserva naturale di proprietà privata ad oggi, nonostante i vincoli paesaggistici di terra e di mare, ancora in vendita (ve ne abbiamo parlato qui). Un gruppo di artiste italiane a febbraio 2020 aveva lanciato un progetto ed una raccolta fondi per acquistare l’isola dagli attuali proprietari e farne una comunità d’arte, forse una provocazione contro ogni ipotesi di sfruttamento da parte di privati. Ma il futuro dell’isola, è ormai chiaro, è quello di un laboratorio per le attività ambientali e la conservazione della natura. A partire dallo studio degli endemismi, come dimostra l’attenzione degli esperti, ma anche dal monitoraggio dell’impatto delle microplastiche sulla vita marina. Circondata da scogliere poco accessibili e da correnti che assicurano sempre una straordinaria limpidezza verde-azzurro dei fondali, guarda la montagna e la riserva marina di Capo Gallo, di cui, per un piccolo lembo di mare protetto, fa parte integrante. In passato, l’isolotto delle Femmine veniva usato per far pascolare animali trainati in acqua dalle barche, come dimostra un abbeveratoio in pietra per la raccolta dell’acqua piovana. Oggi l’attività di pesca si riduce di anno in anno, e sono ormai soltanto diciassette i pescherecci d’altura che vanno a pescespada ed altro grosso pesce pelagico. Resiste la piccola pesca artigianale con il mercatino al mattino, mentre i pochi pescatori anziani si ritrovano al porto sotto le insegne che richiamano i nomi di Monterey e Pittsburgh, richiamando i tempi della grande migrazione. In compenso in estate si intensificano le attività sportive, le immersioni dei diving center della zona, come il Saracen che porta i sub nell’Area marina protetta, la vela a Sferracavallo, mentre continua l’interesse scientifico per la riserva con i biologi di Palermo, l’Arpa e gli archeologi subacquei della Soprintendenza del Mare che esplorano e mappano i fondali in queste acque. Il futuro dell’isola è quello di un laboratorio per il turismo ambientale e la conservazione della natura. A partire dallo studio degli endemismi, come dimostra l’attenzione degli esperti, ma anche dell’impatto delle microplastiche sulla vita marina. Riserva naturale regionale gestita dalla Lipu sin dalla sua istituzione nel ‘97, in seguito, per proteggere biodiversità e fondali, è diventata anche parte dell’area marina protetta, con una zona di protezione integrale a nord dell’isolotto, gestita dalla Capitaneria di Porto di Palermo. “Le visite guidate estive dai volontari Lipu sono riprese, come da molti anni ormai sino a quando il meteo lo permetterà, ad inizio luglio sino a tutto settembre, in accordo con l’imbarcazione Explora che fa la spola giornalmente dal porticciolo, mentre i volontari di altre associazioni vengono qui a pulire con noi le scogliere – racconta Vincenzo Di Dio, che gestisce la riserva da quando è nata – . Dopo anni di lavoro abbiamo dimostrato che proteggere la natura può portare anche un indotto economico alla comunità locale, oltre che contribuire a salvare un patrimonio che è di tutti. Purtroppo, la nostra lotta contro la plastica, ed i timori di vandalismo contro la natura, non hanno sosta, ed ogni anno raccogliamo decine di sacchi di plastica incagliata tra scogli e rocce, dove fanno il nido circa 500 coppie di gabbiani reali ed altre specie di uccelli migratori stagionali che qui si fermano sulle loro rotte”. L’isola dunque non è affatto deserta: la fauna conta cinque specie di rettili tra cui la lucertola campestre e due specie di gechi, cinquanta, circa, sono le specie di uccelli censite sin ora. Specie stagionali sono gli aironi cenerini, le garzette ed i culbianchi che si possono avvistare durante le migrazioni, altri sono nidificanti come il merlo e l’occhiocotto. Nel 2021 un gruppo di studiosi siciliani ha scoperto la presenza di una piccola chiocciola terrestre endemica dell’isola. Scesi sull’isolotto si percorrono con le guide i sentieri costieri, per ammirare i resti delle antichissime vasche per allevamento o produzione di garum, la salsa di pesce azzurro essiccato molto in voga sulle tavole dei romani, che circolava in gran quantità nei porti del Mediterraneo. Prova ne sono i relitti che emergono dai fondali. Tesori inabissati, ma anche meraviglie di vita subacquea, che saranno rivelati in un documentario dal titolo “L’antica nave del vino” per la regia del palermitano Riccardo Cingillo in anteprima a metà luglio al festival SiciliaAmbiente di San Vito Lo Capo. Il documentario racconta la storia di un ritrovamento casuale di un carico di anfore, nascoste dagli anfratti, sui fondali oltre i 60 metri, avvenuto nel corso di monitoraggi ambientali previsti dalla marine strategy portati avanti dai tecnici di Arpa Sicilia secondo le direttive europee. Le immagini mostrano non soltanto le fase del recupero dei reperti, ma rivelano un altro tesoro, la biodiversità che, a quelle profondità si è conservata in buone condizioni. Gorgonie gialle, corallo rosso e nero, anfratti ricoperti da concrezioni che fanno da tana ad aragoste ed altre specie che i biologi dell’Arpa direttamente coinvolti nelle operazioni di recupero, insieme agli archeologi subacquei della Soprintendenza del Mare, che anche attorno a Capo Gallo, da diversi anni, hanno segnalato presenze di anfore, cocci ed ancore di varie epoche, adesso localizzate e protette dalle profondità del mare.(Nella prima foto in alto Isola delle Femmine con la torre d’avvistamento – foto Giulio Giallombardo)