Tra le macerie dell’ex fabbrica di mattoni affacciata sul mare

L’ex mattonificio Puleo, a cavallo tra Ottocento e Novecento, dava lavoro a 90 operai. Oggi è uno spettrale monumento di archeologia industriale ridotto a un rudere

di Giulio Giallombardo

10 Febbraio 2022

Una lunga parete di mattoni scalcinati con due alte ciminiere che resistono svettanti sul mare di Palermo. È tutto quello che dall’esterno si vede dell’ex fabbrica di mattoni fondata dal cavalier Giuseppe Puleo, passando dalla Statale che dalla città conduce a Ficarazzi. Di quella pagina che racconta una Palermo operosa, a cavallo tra Ottocento e Novecento, oggi resta uno spettrale tempio di archeologia industriale. Una fabbrica all’avanguardia per l’epoca, che ottenne medaglie e onorificenze e dava lavoro a 90 operai provenienti per lo più dalle province di Milano e Chieti, come ricorda lo studioso e archivista Marcello Messina, che ha ricostruito la storia del mattonificio, in un articolo pubblicato dall’Istituto siciliano studi politici ed economici.

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Ruderi dell’ex fabbrica (foto Ascosi Lasciti)

Costruita, come qualche altra, nella borgata di Acqua dei Corsari, la fabbrica aperta nel 1878, produceva tegole, tavelloni, varie tipologie di mattoni, ma anche pannelli decorativi per cantoniere, oggetti ornamentali, tra cui diverse forme di vasi. “L’argilla veniva cavata nel terreno di Villa Amanda, o popolarmente Villa Manna, e trasportata con carretti nello stabilimento che si trovava nel fronte opposto della strada – ricorda Messina – . Nel corso della fase successiva, detta prelavorazione, la materia prima veniva sottoposta ad una serie di operazioni, che con l’ausilio di mulini e macchine a vapore la rendevano adatta alla formatura del prodotto”.
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Uno dei forni (foto Ascosi Lasciti)

Dopo l’essiccazione, i materiali venivano cotti all’interno di due forni a fuoco continuo che erano la punta di diamante della fabbrica. Erano forni a cisterna del tipo Hoffmann – spiega l’archivista – assolutamente rivoluzionari per l’epoca, consentivano una drastica riduzione dei consumi termici, ma richiedevano l’assistenza perenne degli operai e degli impiegati. Dopo la cottura i pezzi difettosi venivano gettati a mare, mentre il resto della produzione era messo in commercio nel punto vendita della Cala”.  La produzione proseguì ininterrottamente fino allo scoppio della prima guerra mondiale, quando la mattoneria chiuse i battenti. Nel 1918, alla morte del cavalier Puleo, la fabbrica passò ai sei figli, tre dei quali, nel 1921, vendettero la propria quota alla famiglia Di Fazio, impegnata nel settore dei laterizi da tre generazioni. Così, il mattonificio ebbe nuovi proprietari che possedevano anche una fabbrica vicino al Ponte Ammiraglio e un’altra a Sant’Agata di Militello. Con i laterizi delle loro fornaci, i Di Fazio costruirono diversi palazzi, tra cui quello che sorge all’angolo tra via Libertà e via D’Annunzio, “dove – racconta ancora Messina – attraverso l’ampio uso di mattoni s’intese creare un’esposizione permanente della produzione”.
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Ruderi del mattonificio (foto Ascosi Lasciti)

L’azienda, che ottenne il diploma d’oro e la medaglia d’oro alla Fiera campionaria di Tripoli del 1939, proseguì la produzione fino al 1975, quando chiuse per sempre i battenti. “La cava di Villa Amanda era ormai esaurita e l’argilla, per breve tempo, fu estratta a Vicari, ma il costo del trasporto, la necessità di sostituire i macchinari ormai obsoleti, il disinteresse di molti dei numerosi eredi causarono la sospensione dell’attività”, conclude lo studioso.
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Alcuni degli edifici ormai in abbandono (foto Ascosi Lasciti)

Oggi il mattonificio è un gigantesco cumulo di macerie e quel che resta degli edifici sembra potersi sbriciolare da un momento all’altro. Le ciminiere sono ancora in piedi, come i forni e i lunghi tunnel che attraversavano la fabbrica, ma tutto è sommerso da rifiuti e laterizi. Uno spettacolo spettrale ritratto nelle foto di Ascosi Lasciti, associazione culturale che da anni si dedica all’urbex, esplorazione urbana di luoghi abbandonati.
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Le ciminiere (foto Ascosi Lasciti)

“Pura archeologia industriale in riva al mare, abbandonata e ridotta a rudere – racconta Cristiano La Mantia, presidente di Ascosi Lasciti, che ha fatto un giro nell’ex fabbrica nei giorni scorsi – . Tutti i palermitani l’avranno notato almeno una volta, ma molto probabilmente non ne conoscono la storia. Un luogo pericolante, ormai ridotto all’osso nel quale ci siamo introdotti attratti dalle ciminiere, segno inequivocabile del racconto di un territorio un tempo produttivo. Molta immondizia, un’infinità di laterizi e la consapevolezza che ancora molto lavoro si deve fare per migliorare le sorti della nostra Isola”.(Foto Ascosi Lasciti)