◉ LA SCOPERTA
Un pezzo di Spagna tra i monti siciliani: svelata l’origine iberica dei Peloritani
Dopo decenni di ipotesi, uno studio condotto da ricercatori dell’Ingv fornisce le prove della genesi geologica della catena montuosa dell’Isola, individuando con analisi paleomagnetiche la loro provenienza dalla placca “Greater Iberia”, distaccatasi dall’Europa circa 30 milioni di anni fa, per poi frammentarsi. I campioni di rocce analizzati provengono da Taormina e San Marco d’Alunzio
di Redazione
2 Agosto 2024
Tra 150 e 120 milioni di anni fa, un grande blocco crostale identificato come placca “Greater Iberia” si è distaccato dall’Europa per poi frammentarsi, circa 30 milioni di anni fa, in una placca maggiore (“Iberia”) e in numerose microplacche che, nel tempo, hanno migrato verso est per 500 chilometri (costituendo le attuali Corsica e Sardegna) e 1000 chilometri (gli odierni Monti Peloritani e la Calabria). È quanto emerge dallo studio “Paleomagnetism of the Peloritan terrane (NE Sicily): From Greater Iberia to the Neo Apennine‐Maghrebide Arc” realizzato da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, recentemente pubblicato sulla rivista “Tectonics”.
Il cosiddetto blocco Calabro-Peloritano – spiegano dall’Ingv – si estende tra i monti Nebrodi e i Peloritani della Sicilia nord-orientale e l’area calabrese a sud del Massiccio del Pollino. La sua geologia, del tutto diversa da quella del resto delle vicine catene appenninica e siciliana, presenta delle somiglianze con la geologia della microplacca Sardo-Corsa, dei blocchi Kabili (Algeria) e della placca Iberica (Spagna e Portogallo): ciò aveva fatto ipotizzare, da decenni, che tutti questi blocchi crostali fossero, in origine, uniti.
Tuttavia, nessuna evidenza che provasse un’origine “iberica” del blocco Calabro-Peloritano – sottolineano i ricercatori – era stata finora documentata. “Lo studio che abbiamo appena pubblicato fornisce finalmente le prove di quanto la comunità scientifica ipotizzava da tempo”, spiega Fabio Speranza, direttore della Sezione Roma2 dell’Ingv e co-autore dello studio. “I dati da noi raccolti, ottenuti da campioni di rocce prelevati in Sicilia, tra Taormina e San Marco d’Alunzio, e analizzati nel Laboratorio di Paleomagnetismo ‘Renato Funiciello’ dell’Ingv, hanno evidenziato che fra 150 e 120 milioni di anni fa è avvenuta una rotazione antioraria di circa 30 gradi nella magnetizzazione dei campioni. Questa è del tutto simile, sia per entità che per cronologia, alla rotazione osservata nella placca Iberica quando, durante il processo di ‘apertura’ dell’Oceano Atlantico, si distaccò dalla placca Europea formando il golfo di Biscaglia”.
La frammentazione e la migrazione verso est della microplacca Sardo-Corsa, dei blocchi Kabili e, in seguito, del blocco Calabro-Peloritano sarebbero avvenute durante l’apertura dei nuovi bacini oceanici liguro-provenzale (avvenuta tra 30 e 15 milioni di anni fa) e tirrenico (tra 10 e 2 milioni di anni fa), in maniera sincrona alla formazione delle catene appenninica e siciliana.
“I dati geologici mostrano che il blocco Peloritano fu incorporato nella catena montuosa siciliana tra 18 e 17 milioni di anni fa”, spiega Gaia Siravo, ricercatrice dell’Ingv e co-autrice dello studio. “I dati paleomagnetici, a loro volta, mostrano che la rotazione totale post-oligocenica (oltre 23 milioni di anni fa) del blocco è pari a 130 gradi orari, esattamente sovrapponibile a quella già ampiamente documentata nella Sicilia centro-occidentale e legata alla strutturazione della catena siciliana stessa e all’apertura del Mar Tirreno. Questa rotazione oraria è, però, del tutto diversa rispetto a quella antioraria (di circa 140 gradi) da noi già documentata due anni fa su sedimenti affioranti nella Sila orientale. Ciò ci ha permesso di fornire un’ulteriore evidenza: il blocco Calabro-Peloritano è in realtà composto da due micro-blocchi che hanno avuto un’evoluzione completamente diversa negli ultimi 30 milioni di anni”, conclude Siravo.