Alla scoperta delle torri di Sambuca tra storia e devozione
Da Cellaro al casale di Adragna fino a Pandolfina, viaggio tra le antiche costruzioni a guardia del borgo agrigentino. Feudi che hanno segnato l’identità del territorio
di Lilia Ricca
29 Luglio 2022
Anno 1575. Tutta la Sicilia è investita da un terribile colerache miete non poche vittime a Sambuca. Stremati dalla peste gli abitanti si rivolgono alla Madonna, la cui statua marmorea è custodita nell’antica Torre di Cellaro, a valle dell’abitato. Al suo passaggio in processione nella via Infermeria trasformata in una sorta di lazzaretto cessò la peste. La Madonna dà udienza a chi invoca la sua mediazione. Nasce così un rapporto di filiazione e una plurisecolare devozione che ogni anno si festeggia la terza domenica di maggio. La peste cominciata nel 1575 cessò nel maggio 1576. La liberazione avvenne di domenica, il 20 maggio 1576.
È facile immaginare un itinerario a piedi, in bicicletta o a cavallo alla scoperta delle torri di Sambuca. Partendo da Cellaro arrivando al casale di Adragna e a Pandolfina. Attraversando epoche diverse tra leggenda e spiritualità lungo una scia mista di fascino e mistero, tra dimore nobiliari di villeggiatura. A protezione delle torri viene spesso posta la statua di una Madonna, come nel caso di Cellaro, dove si dice sia stata collocata la Madonna dell’Udienza, per mano di Giacomo Sciarrino, a cui l’Ordine Gerosolimitano di San Giovanni di Rodi vendette il feudo omonimo o dell’Ulmo, con la torre e il mulino. La Madonna viene posta a protezione delle torri mentre queste proteggevano, a loro volta, le città. La Chiesa chiama infatti la Vergine, “Turris Eburnea” o “Davidica”. In Italia, in Francia e Germania molti castelli e luoghi fortificati sono dedicati a Maria adornati proprio da immagini che la rappresentano. Ad un chilometro da Sambuca, nella Valle dei Mulini vicino al lago Arancio, passando il fiume Rincione, si arriva a Cellaro, dove si scorgono subito la torre e i resti dell’antico feudo. Al secondo piano, in una cavità dove vi era un forno, un contadino affittuario della torre racconta di una mula trovata morta ogni anno, ogni qualvolta che il forno venisse utilizzato. Veniva profanato forse il sito della statua della Madonna? Che si tratti di un tentato furto o di un assalto alla torre, la Madonna fu nascosta in quel camino e ritrovata in quella cavità proprio nel periodo della peste. Trasportata per la prima volta da Mazara, fu portata a schiena di mulo da quattro marinai dopo l’approdo a Porto Palo o in un porto più vicino e collocata nell’antico feudo. Dal feudo chiamato anche “di San Giovanni di Cellaro” dall’Ordine di San Giovanni da Rodi, dove oggi resiste una chiesetta dedicata a San Giovanni (ricorrenza 24 giugno), per volontà dei sambucesi, la statua fu portata a Sambuca durante la peste, prima che alla Vergine “dell’Udienza” venisse costruita una cappella dedicata agli Sciarrino. L’immagine di Maria era di loro proprietà. Oggi, nella chiesa del Carmine dove ha sede la Madonna è visibile una lapide che reca il loro nome e ne attesta l’avvenuta sepoltura. La terza domenica di maggio di ogni anno, la città si veste a festa tra le strade e le piazze, tra i vicoli e i cortili di Sambuca partecipando alla gioia di ogni cittadino. Quartieri e contrade si riconoscono nella tradizione. Il percorso della processione viene tutto illuminato: il corso Umberto I, con archi alla veneziana, l’illuminazione sul prospetto della Chiesa del Carmine ne ridisegna le linee architettoniche, le vie con apparati illuminanti che rimandano a simbologie mariane. Ad ogni sosta, che rappresenta un quartiere, sotto una corona lignea il simulacro fa tappa durante il suo tragitto. Ma volgendo lo sguardo verso nord l’attenzione si sposta sul sito archeologico di monte Adranone e all’antico casale di Adragna, dove vissero i primi abitanti di Sambuca. Distrutta la città antica nel 250-240 avanti Cristo durante le guerre servili, i superstiti si rifugiano ad Adragno. Un borgo rurale ignorato dai Romani distante un chilometro dall’antica Adranon. Qui si respirava aria mite e c’erano abbondanti e fresche acque. Gli abitanti, che erano cristiani vissero pacificamente sotto il dominio arabo per mezzo del pagamento della gèsia, un tributo per professare liberamente il proprio culto e restare possessori dei beni propri. Beni, che con la conquista normanna non assunsero una sembianza feudale, ma furono chiamati “allodi”, “allodiali” o “borgensatici” da borgesi, nome attribuito ai possessori diversamente dai “villani” che abitavano in campagna ed erano sottoposti ai feudatari. Allodio, infatti, fu il territorio intorno al casale di Adragna. Non solo i terreni, ma anche le acque che sgorgavano dalle ricche sorgenti. Alcune delle quali furono comprate secoli più avanti dal Marchese della Sambuca, don Giuseppe Beccadelli di Bologna, che ad Adragna fece costruire anche un mulino, per desiderio e richiesta della popolazione di Sambuca, il 4 novembre 1792, che forniva l’acqua al centro cittadino. Danneggiato dal terremoto del Belìce, presto l’antico acquedotto collegato al mulino sarà recuperato. La chiesa di Santa Maria di Adragna, detta “la Bammina”, è l’unico elemento rimasto dell’antico casale. Il tour delle torri di Sambuca tra storia, leggenda e spiritualità si conclude a Pandolfina, nell’ex feudo che fu baronìa dei Peralta. Nel feudo esistono ancora un’antica torre e il casamento con spaziosi magazzini e la relativa chiesa. Un bevaio esterno accostato alle mura è stato costruito negli anni ‘50 a servizio dell’agricoltura e degli allevamenti durante la riforma agraria in Sicilia. La costruzione della torre di Pandolfina non è più tarda della seconda metà del tredicesimo secolo e fu strategicamente vitale per l’intera valle di Zabut.