Alla scoperta dell’Etna, dove la natura dà spettacolo
Viaggio tra sentieri, grotte e crateri del vulcano attivo più alto d'Europa, che si prepara ad accogliere gli escursionisti dopo il lockdown
di Antonio Schembri
12 Maggio 2020
Pochi giorni ancora e, a meno di nuove restrizioni nel corso dell’attuale fase dei decreti, dal 18 maggio i sentieri escursionistici verranno riaperti alla fruizione. A condizionare le attività, soprattutto in montagna, sarà però la ridotta capacità d’intervento dei servizi di recupero e sanitari, assorbiti dall’emergenza coronavirus, oltre al fatto che, dopo due mesi di abbandono, le condizioni dei tracciati richiederanno molta più attenzione. Gradualità sarà insomma la parola d’ordine per la ripresa dei trekking, con l’obbligatorio distanziamento dei camminatori.
Saranno in particolare le piste dell’Etna a riproporre emozioni passo dopo passo. Sulle pendici del vulcano, che dalla fine di aprile è tornato a dare spettacolo stavolta con le esplosioni dal conetto formatosi l’anno scorso all’interno del cratere centrale, le passeggiate potranno comunque essere effettuate in condizioni di maggiore sicurezza. La Protezione civile della presidenza della Regione Siciliana ha completato nei giorni scorsi la sistemazione di pannelli luminosi a messaggio variabile per fornire notizie in tempo reale sulla situazione dell’Etna, insieme con gli avvisi, le disposizioni e le ordinanze sulle modalità d’accesso alle aree più a rischio. “Quello naturalistico è un segmento importante del turismo siciliano e proprio perché si svolge all’aperto e non prevede assembramenti, può ripartire subito”, così ha dichiarato il governatore Nello Musumeci. Da mezzo milione di anni l’Etna mostra una colossale rappresentazione del principio formulato tre secoli fa da Antoine de Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. La vetta del vulcano più alto e attivo d’Europa supera oggi i 3.300 metri, ma accumuli e smottamenti di lava legati all’attività eruttiva determinano variazioni d’altitudine continue. Chiamato “Iddu”, lui, nel senso di padre che feconda nuova terra, ma anche “Idda”, vale a dire montagna-madre che la partorisce, l’Etna – il Mongibello, dal latino Mons e dall’arabo Jebel,“monte” – comunica l’incessante processo di mutazione che è la vita del Pianeta. Montagna che fa dannare. Ma che rigenera e alimenta, suscitando la gratitudine degli agricoltori attivi da millenni sui suoi terreni dibasalti, tufi, ceneri permeabili all’acqua, abbondante a valle grazie a diversi fiumi e ruscelli, sorgenti e pozzi. Uno straordinario laboratorio geologico, l’Etna, come lo qualificava Haroun Tazieff, pioniere della moderna vulcanologia. Dal 1987 il paesaggio dell’Etna, esteso su un’area di poco meno di 60mila ettari, è un Parco regionale, il primo istituito in Sicilia, un terzo del quale, poco più di 19mila ettari, comprensivi dell’intera parte sommitale, è protetto come riserva integrale. Vi sono infatti racchiusi valori geologici che, a detta degli studiosi, non hanno pari in nessun’altra zona del mondo. Ragion per cui dal 2013 questa sua porzione è stata inserita dall’Unesco nel Patrimonio dell’Umanità. Non un singolo vulcano, ma un sistema complesso, definito “poligenico” perché combina, insieme e contemporaneamente, quasi tutti i fenomeni di risalita in superficie di materiale allo stato fuso e gassoso, con un paesaggio che ha fortemente condizionato la vita attorno al vulcano. “La sua prima fase di formazione è avvenuta in mare durante il Pleistocene Medio Inferiore (all’incirca 500 mila anni fa), dinanzi alla Costa dei Ciclopi, tra Aci Trezza e Aci Castello – spiega Salvo Caffo, responsabile dell’unità di ricerca vulcanologica del Parco – . L’ultima risale invece a 14mila anni addietro, quando crolla la parte più alta del vulcano (all’epoca giunto a 3.600 metri di quota) e si forma la Valle del Bove, l’enorme ‘catino’ che convoglia la maggior parte dei fiumi di lava. È questo lo stadio della creazione del Mongibello come suppergiù lo vediamo oggi”. Le ultime modifiche vicino al Cratere centrale risalgono invece al secolo scorso. Nell’ordine, l’apertura del cratere di nord-est nel 1911, la Voragine e la Bocca Nuova formatesi dentro il Cratere centrale nel 1945 e nel 1968 e il Cratere di sud-est, apertosi nel 1971, da allora il più turbolento. Una così disinibita esibizione della natura attira visitatori da tutto il mondo, in ogni stagione. Se a causa del coronavirus il loro numero si ridurrà di molto, le guide alpine e vulcanologiche sono comunque già sui blocchi di partenza: “Le richieste fanno registrare una ripresa, molti appassionati non vedono l’ora di tornare a camminare sulle spalle del vulcano, anche con escursioni all’imbrunire per assistere ai suoi parossismi”, dice Giuseppe La Favoci, titolare della Real Etna Excursions. I sentieri – continua la guida – sono numerosi e alla portata di molti: “Sul versante nord c’è per esempio quello che da Linguaglossa attraversa la Pineta Ragabo, unicum millenario (è la pineta naturale più grande e più alta della Sicilia, estesa da 900 a 1.800 metri di quota) e conduce alla bottoniera di oltre 20 crateri formatisi con l’eruzione del 2002. Si sale da 1.800 a 2.100 metri di quota, si cammina sui bordi di questi coni e si possono osservare molte ‘bombe’ vulcaniche (frammenti di lava solidificati) e colate laviche”. La più lunga, risalente sempre a 18 anni fa, è quella che invase Piano Provenzana. Sempre sul versante settentrionale, particolarmente suggestivo è inoltre il trekking attorno ai Monti Sartorius, risultato dell’eruzione del 1869: prima di fiancheggiare i 7 coni vulcanici, si penetra in un grande bosco di betulle e si sfiora l’ingresso di una caverna (non accessibile). Sul versante sud, invece, bei trekking sono quello lungo la cosiddetta Schiena dell’Asino, che culmina su uno scenografico balcone sopra la Valle del Bove, al cospetto del cratere centrale e la passeggiata, sui bordi dei Crateri Silvestri, nei pressi del Rifugio Sapienza. E scenari lunari, ai quali si alternano fitti boschi di querce e distese di pini e abeti, si attraversano anche sulla pista forestale più lunga dell’Etna, la Altomontana, che unisce nord e sud del vulcano per 42 chilometri e con un dislivello di 300 metri. C’è comunque una variante meno impegnativa: il segmento della Galvarina, nei pressi dell’Osservatorio Astronomico: 12 chilometri di tragitto. Altra attrattiva dell’Etna, ma più selettiva, sono le grotte, tutte di scorrimento lavico: a detta delle guide, se ne conoscono circa 400, almeno la metà esplorabili. Le più famose sono la Grotta del Gelo, a poco più di 2.000 metri su versante nord nel territorio di Maletto, così chiamata perché al suo interno si trova un piccolo ghiacciaio, il più meridionale d’Europa (in via di assottigliamento) e la Grotta dei Lamponi, a circa 1.700 metri nell’areale di Castiglione di Sicilia, tra le più lunghe del Parco. Ma la geografia del gigante di lava va scoperta viaggiando lentamente anche in auto o in moto. Oppure in treno. La ferrovia Circumetnea, linea a scartamento ridotto costruita alla fine del 1800 a servizio degli agricoltori, consente di vivere le suggestioni del vulcano a 35 chilometri all’ora. Il trenino copre i tre quarti del periplo per un totale di 111 chilometri con 40 fermate distribuite tra comuni e frazioni, alcune delle quali situate nel mezzo di ipnotici contesti agricoli e vulcanici. Ma nel carosello di scenari che scorrono dai finestrini affascinano anche le decine di gallerie, ponti e viadotti, manufatti di valore artistico, rimesse, case cantoniere e stazioni di sosta, colorate in rosso mattone o giallo ocra. Per quasi due mesi questa storica infrastruttura – ammodernata anche con motrici e vetture di ultima generazione (ma su alcune tratte, impiegate nel servizio turistico, funziona ancora una “littorina” del 1937) – è rimasta inattiva. Adesso si attende il ripristino dell’intera rete. Fino all’anno scorso, un’esperienza particolare mediante la Circumetnea era quella del Treno dei Vini, allestito dalla Strada del Vino e dei Sapori dell’Etna: un tragitto da “assaporare” in un’intera giornata, da Riposto, il “porto dell’Etna” su fino ai paesaggi di Rovittello, Solicchiata e Passopisciaro, tre delle sette frazioni di Castiglione di Sicilia, il comune più “vocato” al vino dell’intero comprensorio, e infine Randazzo, “da dove si prosegue per un piccolo tour enoculturale, con visita al borgo storico e degustazioni in due cantine”, illustra Marika Mannino, direttore dell’associazione. Anche questa iniziativa di enoturismo almeno per quest’anno cede il passo a primarie esigenze di sicurezza sanitaria. Dal canto suo, l’Etna continua imperterrito a ricordare che tutto non finisce ma rinasce.