I fantasmi della Palermo operosa: viaggio tra le fabbriche di una volta
18 Giugno 2022
Dalla Chimica Arenella alla Manifattura Tabacchi, fino al mattonificio Puleo, sono tanti gli esempi di archeologia industriale. Oggi molti sono ruderi che potrebbero essere recuperati
di Guido FioritoQuando si parla di archeologia industriale a Palermo, la nostalgia è doppia: quella consueta per ciò che non è più, quella che si aggiunge per una città con aziende produttive di valore internazionale che si sono perdute. Un caso per tutti, quello della Chimica Arenella, con la più grande produzione mondiale di acido citrico e acido solforico. Dopo la chiusura (1965) è stata acquistata dal Comune di Palermo (1998). “Sono passati tanti anni e molti progetti per recuperarla – dice Maria Antonietta Spadaro – ma nessuno è stato realizzato. Così oggi è un rudere totale, non facile da recuperare”. Nonostante la posizione spettacolare sul mare. Spadaro, storica dell’arte, ha fatto il punto sul tema, alla chiesa di San Francesco Saverio in una iniziativa di BCSicilia in occasione delle Giornate europee di archeologia.
Ogni tanto s’intravede nel paesaggio cittadino un’alta ciminiera di mattoni rossi che punta verso il cielo, testimone di un epoca, tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, in cui il territorio cittadino era costellato di fabbriche. Queste costruzioni sono spesso affascinanti dal punto di vista architettonico ma anche fonte di storia della città. Per esempio, testimoniano l’esistenza di un ceto operaio femminile. Le Carmen palermitane, ovvero le settecento sigaraie della Manifattura Tabacchi di via Gulì, pagate con compensi miserevoli. Oppure le operaie del reparto tappezzeria della Ducrot o dell’Istituto agrario Corleone che conteneva una sala dove le madri potevano allattare i figli neonati.Tutte queste strutture possono essere inserite in due elenchi: il primo, purtroppo vastissimo, contiene gli impianti in rovina, il secondo quelle che hanno ottenuto una seconda vita. Il fine dell’archeologia industriale, infatti, non è solo quello di studiare le fabbriche del passato ma anche “non rinunciare a valorizzare siti che andrebbero recuperati e riutilizzati per le loro intrinseche qualità e i valori storico-culturali di cui sono portatori”, come ha spiegato Spadaro.Nel primo elenco, davanti a tutti sono la Chimica Arenella e la Manifattura Tabacchi, due impianti accomunati da un’area vasta e dalla loro magnifica posizione. Poi la fabbrica di tessuti Gulì, dietro Villa Belvedere alla Noce. Ancora il Cotonificio siciliano di Partanna Mondello (che la Regione adesso vuole recuperare, qui un articolo), la fabbrica di mattoni Puleo ad Acqua dei Corsari, la fabbrica Catalano di letti in ferro (zona via Dante), le numerose industrie conserviere, da Pensabene a Raspante.“C’è il caso della fabbrica di laterizi D’Attardi, nella zona di via Messina Marine, che chiude negli anni Sessanta per trasferire tutto al Nord. A Palermo è impossibile lavorare mi ha detto il proprietario”, ha raccontato Spadaro che negli anni ha visto tanti impianti svuotati dei macchinari e lasciati a un destino di rovina. Altre strutture non più utilizzate sono sotto gli occhi di tutti, dai gasometri di via Tiro a Segno e di via Sandron fino alla stazione Lolli.Nell’elenco dei beni riutilizzati spiccano i Cantieri culturali della Zisa ricavati in alcuni capannoni delle officine Ducrot, gioiello dell’industria cittadina, azienda di mobili quotata in borsa e di valore internazionale. Un paio di impianti sono stati salvati da istituti bancari che ne hanno fatto loro prestigiose sedi: l’opificio di mobili Dagnino in via Albanese e la centrale elettrica di via Cusmano. Un caso unico è quello della sottostazione elettrica della società Tramways di Palermo a Valdesi trasformata nel 1934 in chiesa, oggi dedicata a Maria Santissima Assunta, con ricavata una facciata a tre navate per un interno a una che una volta ospitava un deposito della società.Poche le strutture ancora in funzione come la centrale idroelettrica alle falde del monte Grifone: Spadaro definisce “un’idea geniale” quella di averla costruita ispirandosi all’architettura normanna della Zisa. Altre strutture, come le antiche fornaci Maiorana alle falde del Pellegrino, con il suo spazio ipogeo, si sono salvate per volontà dei proprietari che le hanno trasformate in musei visitabili. I progetti non mancano, ma la maggior parte si perdono per strada. Adesso tocca alle dodici cisterne sotterranee disegnate dal grande Pier Luigi Nervi e nascoste ai piedi del Monte Pellegrino, con serie di pilastri come un bosco di alberi. La funzione era di depositi di combustibile a fini militari. Giulia Argiroffi, che le ha riscoperte, ha proposto di trasformarle in un museo siciliano con le storie della seconda guerra mondiale.