Il mare si mette in mostra, ecco il Museo dell’acciuga
Nella frazione di Bagheria, il funambolico Michelangelo Balistreri raccoglie, conserva e restaura pezzi di storia siciliana, legata ai piccoli pesci argentei che popolano i mari dell’Isola
di Amministratore
2 Agosto 2018
di Giuseppe Messina
C’è un borgo marinaro alle porte di Palermo, Aspra, una frazione amministrativa di Bagheria, il grosso centro meta delle nobiltà palermitana del ‘700 che là volle edificare ville stupende per il loro sollazzo estivo tra i giardini di agrumi che coprivano gran parte del territorio. E se tra i giardini in primavera ci si inebriava con il profumo della zagara, nel borgo marinaro a qualche chilometro del paese si respirava un altro profumo, quello della brezza marina. E qui i pescatori, lontani dalle magnificenze nobiliari, lavoravano le acciughe, da anni, da secoli, da millenni.Dell’acciuga sotto sale il funambolico Michelangelo Balistreri, ne ha fatto un museo. Lui, factotum del museo ma anche poeta, dice che i piccoli pesci argentei che popolano i nostri mari meridionali, non sono altro che stelle del firmamento cadute nei profondi abissi mediterranei perché gli umili pescatori potessero riempire le proprie reti e potessero così soddisfare le loro semplici esigenze di vita e mitigare la loro fame e quella dei loro figli. E l’argento dei pesci diventa quindi anche argento, ricchezza, motivo e fine delle loro esistenze.Nasce prima dell’arrivo di Cristo sulla terra la pratica della conservazione delle acciughe sotto sale. Pesce e sale, due poveri prodotti del mare che si unirono quasi per caso e che nel corso dei millenni hanno sancito un’unione che il progresso tecnologico non è mai riuscito a scalfire. Cibo povero, ma anche cibo per ricchi. Perché le acciughe venivano servite in vari modi nelle tavole dei patrizi della Roma antica. Il succo estratto dalla spremitura del prodotto salato, condiva pietanze di pesce e di carne, rendeva morbide e più commestibili le gallette distribuite ai rematori dei galeoni del tempo. E la pratica delle conservazione delle acciughe sotto sale, pressoché inalterata si è protratta nel tempo. Le coste della Sicilia e parte del meridione italiano ne sono la patria indiscussa.Erano tanti un tempo gli stabilimenti, grandi e piccoli, disseminati lungo le coste, che si occupavano della lunga e difficile arte della salagione. Sì, proprio un’arte, perché nessuno ha mai potuto codificare scientificamente il giusto periodo di salagione per ottenere il prodotto di pregio. Dipende da tanti fattori, dice Michelangelo quali la temperatura, l’umidità, il legno dei tini che dovrà accogliere i piccoli pesci nella prima fase della lavorazione, il sale naturalmente marino. Balistreri ha voluto conservare la memoria di tutto questo e nel suo museo sono in mostra le vecchie attrezzature per la salagione, le lastre litografiche per la stampa del nome dei produttori nei “lannuni” che contenevano le acciughe, una vecchia macchina “aggraffatrice” che un nerboruto operaio azionava a mano facendo in modo che il coperchio di lucente latta aderisse al contenitore del pesce salato.E poi foto, ex voto, pezzi di vecchie barche in disuso e barche già recuperate. Ci sono le vecchie panche dove operaie vecchie e giovani, rimanevano sedute per ore, intente a deliscare le piccole e tenere acciughe per riporle nei contenitori con l’olio d’oliva. Un tipo di lavoro che ancora oggi non può essere sostituito da macchine. Quanti di noi lo abbiamo pensato quando mangiamo una tartina imburrata attraversata dall’acciuga durante le nostra sontuose apericene?Michelangelo raccoglie, conserva, restaura pezzi di storia siciliana e nel museo si ritrova la Sicilia di un tempo, ma anche la Sicilia del riscatto che Michelangelo canta e recita per i tanti giovani e non che visitano questo singolare museo. Lui di volta in volta si trasforma in storico, in cantastorie, in poeta, in musicista, in inventore, in pittore.Durante la visita le immagini si susseguono in una apparente confusione, ma ti trasmettono anche le atmosfere che il quel luogo si susseguivano durante cicli di lavorazione. Si immaginano gli uomini con le mani dalla pelle solcata dal sale, che si muovono indaffarati e senza un apparente ordine tra le sale dello stabilimento ora trasformate in luogo storico e di apprendimento.