Il monastero basiliano di Frazzanò e quel bruco nell’orecchio di Ruggero

L’eremo di San Filippo di Fragalà, arroccato sui Nebrodi, è un luogo avvolto da leggende che adesso si prepara a rinascere grazie a nuovi restauri

di Giulio Giallombardo

3 Settembre 2021

Leggenda vuole che, in Sicilia al tempo dei normanni, un piccolo bruco si sia fatto strada dentro l’orecchio del piccolo Ruggero II. Ci troviamo tra i boschi dei Nebrodi, dove il figlio del conte Ruggero, ancora bambino, vede nel sonno mischie feroci, castelli presi d’assalto, nemici di Cristo urlare bestemmie oscene. Il bruco tormenta a tal punto il futuro re di Sicilia, che il padre prega San Filippo di liberare il figlio da quelle sofferenze. In cambio promette di far sorgere sul luogo una chiesetta e un rifugio quieto per gli eremiti, sparsi nella valle. Così, come per incanto, il bruco, lascia il suo nascondiglio sotto gli occhi del conte, mentre un aratro, trascinato da un toro e da una bianca vitella, segue l’insetto, segnando lo spazio dove sarebbe sorta la chiesa.

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Il complesso monastico (foto Davide Mauro)

È lì che si trova ancora oggi, a tre chilometri da Frazzanò, il monastero di San Filippo di Fragalà, un capolavoro di architettura medievale, tra i più antichi monasteri basiliani della Sicilia. Qui visse per tre anni san Lorenzo da Frazzanò, al secolo Lorenzo Ravi, patrono del borgo, molto venerato anche in alcune zone della Calabria dove, si racconta, liberò Reggio da un’epidemia di peste. A dire il vero, il monastero, arroccato sulle pendici del monte Crasto, esisteva ancor prima dell’arrivo dei normanni. Sarebbe stato edificato da Calogero di Calcedonia nel 495 e poi ampliato da Ruggero d’Altavilla, dopo il “miracolo” di San Filippo.
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Finestra con decorazione a lisca di pesce

Nello stesso edificio visse il santo monaco Gregorio, al quale il conte Ruggero concesse beni per ricostruirlo e al quale furono concessi favori e protezione anche dalla regina Adelasia. Di questo ne è testimonianza un diploma bilingue in greco e arabo del 25 marzo 1109 della stessa Adelasia, attualmente il più antico scritto europeo su carta che si conosca, conservato all’archivio di stato di Palermo. Il monastero raggiunge il suo massimo splendore, sotto i normanni e con gli aragonesi inizia la decadenza, fino a quando, nel 1866 fu gradualmente abbandonato dai benedettini che, nel frattempo, avevano preso il posto dei basiliani.  Oggi l’edificio ha resistito ai secoli, mantenendo integre alcune strutture originarie. La chiesa, che ha mantenuto l’impianto con le tre absidi, tipiche del rito greco, conserva ancora preziosi affreschi bizantini che raffigurano santi, angeli e vescovi. Nel 2000, a distanza di più di un secolo dall’esodo dei monaci nel 1866, il monastero, oggi interamente di proprietà comunale, è stato riaperto al pubblico dopo alcuni restauri. Dal 2014 ospita alcuni concerti del Frazzanò Folk Fest, diventato punto di riferimento per la musica etnica popolare del Sud Italia, ma anche altri eventi, spettacoli e incontri, diventando cuore della comunità nebrodense.
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Affresco dell’abside centrale

“Il monastero è un luogo vivo, è il simbolo della nostra comunità, ma ha un potenziale ancora più importante che andrebbe valorizzato – spiega Marco Imbroscì, consigliere comunale, direttore artistico del Frazzanò Folk Fest e animatore culturale – purtroppo le risorse non bastano, ma presto inizieranno nuovi restauri, con un intervento di quasi 2 milioni di euro. La valorizzazione è prevista sia nell’area esterna, con panchine e una piccola area attrezzata, sia all’interno, recuperando gli affreschi bizantini e tutta la parte ovest su cui ancora non si è intervenuto. Speriamo che il nostro monastero, con questi nuovi interventi, possa essere ancora più vivo e riscoperto da turisti e residenti”.