La casina di caccia nascosta nel bosco: c’era una volta il regno dei marchesi Artale

Restano solo i ruderi del settecentesco edificio appartenuto a una delle famiglie nobiliari più influenti del territorio di Trabia

di Giulio Giallombardo

14 Giugno 2021

È ormai un tutt’uno con la natura. Pareti trasformate in scenografiche quinte verdi, pavimenti inghiottiti dalle radici, chiome degli alberi a fare da tetto. Oggi rimane ben poco della settecentesca casina di caccia dei marchesi Artale, insieme ai più noti Lanza, all’epoca una delle famiglie nobiliari più influenti del territorio di Trabia, nel Palermitano. Il loro rifugio era una residenza immersa nel bosco che porta il loro nome, a 750 metri d’altezza, sul monte Sant’Onofrio che fa parte dell’estesa riserva naturale Pizzo Cane, Pizzo Trigna e Grotta Mazzamuto, alle spalle di Altavilla Milicia e Trabia.

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Ruderi della Casina Artale

Siamo nel regno del marchese Giuseppe Artale Procobelli, marchese di Collalto, che a Palermo viveva nello sfarzoso palazzo con vista sulla Cattedrale, in piazzetta Sett’Angeli (l’attuale Palazzo Artale Tumminello). La residenza di campagna era sulle colline di Trabia, dove oggi si trova un complesso alberghiero, mentre nel fitto dei boschi sorgeva la casina di caccia. Difficile immaginare che quei ruderi, una volta, furono luogo di ritrovo dei nobili del tempo, che tra una battuta di caccia e l’altra, furono ospiti del marchese. Oggi neanche d’alto si riesce ad avere un’idea del suo aspetto originario, dal momento che i resti sono stati ormai quasi del tutto avvolti dal bosco.
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Muro della riserva di caccia

Raggiunta la casina, a cui si può arrivare da più di un sentiero della riserva, ci si trova davanti ai ruderi di un edificio ormai quasi del tutto scomparso. Oltre a qualche parete che resiste, ci sono ancora alcuni archi d’accesso al corpo basso, dove si trovavano le stalle, i magazzini e le abitazioni della servitù. Non c’è traccia ormai del piano nobile, dove soggiornava il marchese con i suoi ospiti. Nell’area intorno alla casina – un edificio di duemila metri quadrati con un cortile interno – si vede ancora chiaramente parte del muro settecentesco che delimitava la riserva di caccia, secondo la leggenda, fatto costruire dal marchese dai vagabondi che si aggiravano nella zona, ospitati in cambio del lavoro.  La casina fu venduta alla fine dell’Ottocento e da allora iniziò il lento declino che arriva fino ai nostri giorni. Pare che un tentativo di recupero fu avviato tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, ma tutto si arenò per diverbi con i proprietari dei terreni su cui si trovano i ruderi, pur essendo in un’area demaniale. Un altro segno della presenza degli Artale è rimasto nei due pilastri settecenteschi che segnavano l’ingresso dalla riserva di caccia, su cui furono addossati negli anni ’60 alcuni edifici di servizio oggi abbandonati, che si trovano all’inizio del sentiero Sant’Onofrio, il più esteso della riserva. Lungo il percorso, inoltre, ci si imbatte nei ruderi della stazione Buonriposo, antico edificio per il cambio dei cavalli lungo la regia trazzera. Non c’è più traccia, infine, della tomba degli Artale, un mausoleo piramidale che si trovava più giù, sul litorale della Vetrana, dove adesso sorge uno stabilimento balneare.
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L’ingresso monumentale della riserva di caccia

Se poco o nulla rimane dei beni storici presenti nella riserva, a parte il trecentesco eremo di San Felice, gestito dall’associazione Amici di San Felice, a colmare il vuoto lasciato dal tempo, ci pensa la natura. Il territorio dell’area protetta, con la sua varietà di paesaggi, è un trionfo di macchie e arbusteti mediterranei, fino ad addentrarsi nelle cime più alte in fitti querceti, oltre che sugherete. “Ci troviamo in un territorio molto ricco sia dal punto di vista naturalistico, che antropologico e archeologico – spiega Salvatore Zizzo, operatore culturale e presidente dell’associazione Amici di San Felice – . Ci sono ancora tanti siti inesplorati e su cui non sono mai state condotte ricerche. Come, ad esempio, un’area archeologica segnata sulle mappe, ma mai scavata, sotto cui si troverebbe una necropoli di epoca bizantina”.(Foto: Giulio Giallombardo)