◉ BENI CULTURALI
La coppa d’oro di Caltavuturo, storia di un tesoro trafugato e tornato in Sicilia
Dal 2004 la "phiale aurea”, scoperta per caso negli anni ’80 del secolo scorso vicino al paese delle Madonie, è esposta al museo di Himera, dopo una vicenda rocambolesca che l’aveva portata negli Stati Uniti. Passò dalle mani di diversi collezionisti fino al suo ritorno in Italia dopo una dura battaglia di diritto internazionale
di Marco Russo
25 Luglio 2024
È un’antichissima coppa di puro oro, un tempo usata per riti e libagioni. Arricchita da una trama decorativa semplice e armoniosa, che ne fa un pezzo unico e tra i più belli del suo genere. La phiale aurea di Caltavuturo, festeggia i vent’anni dall’esposizione nell’Antiquarium di Himera, vicino a Termini Imerese, nel Palermitano. Epilogo di una rocambolesca storia a lieto fine, iniziata nei primi anni ’80 del secolo scorso, quando la phiale – questo il nome greco della coppa di epoca ellenistica – fu rinvenuta per caso nel paesino delle Madonie, durante i lavori per la costruzione di un pilone della linea elettrica. Poi trafugata nel 1991, fu portata via clandestinamente dalla Sicilia e trasferita negli Stati Uniti. Grazie alla collaborazione tra l’Arma dei Carabinieri e la magistratura, il reperto di inestimabile valore venne poi recuperato e dal 2004 è esposto a Himera.
Per ricordare la sua storia, in programma un incontro, lunedì 29 luglio alle 19 al museo “Pirro Marconi”, all’interno del Parco archeologico di Himera, Solunto e Iato, a cui parteciperanno l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato; il direttore del Parco, Domenico Targia; il sindaco di Termini Imerese, Maria Terranova; il sindaco di Caltavuturo, Salvo Di Carlo; l’ex sostituto procuratore di Termini Imerese, Aldo De Negri; il luogotenente dei carabinieri Salvatore Messineo, oltre a esperti archeologi, appassionati d’arte e giuristi.
Attraverso la diretta testimonianza dei diversi attori che hanno preso parte al recupero, sarà ricordato il lungo percorso giuridico che ha consentito di localizzare negli Stati Uniti la coppa e di riportarla, dopo una dura battaglia di diritto internazionale, in Sicilia, luogo in cui questo prezioso reperto era stato scoperto occasionalmente e da cui era partito per l’estero attraverso una lunga serie di passaggi illegali.
Previste, inoltre, visite guidate ad opera del personale del Parco di Himera, nell’Antiquarium Minissi, il 29 luglio e l’8 agosto, con inizio alle 16.30. Nelle stesse giornate, alle 19.30 sarà possibile assistere ai concerti a cura dell’associazione Palermo Classica, con la pianista Oksana Pavlova, nello spazio adiacente al Tempio della Vittoria.
La storia più recente della phiale è ricostruita in un volume edito dalla Soprintendenza ai Beni culturali di Palermo, a cura di Francesca Spatafora e Stefano Vassallo. La prima notizia sulla coppa appare nel 1989, da parte del professor Giacomo Manganaro che, dichiarando di avere visto il reperto alcuni anni prima in una collezione privata siciliana, ne fornisce la documentazione fotografica ed una prima descrizione e interpretazione.
Cinque anni dopo, la Procura di Termini Imerese, nella persona del sostituto procuratore Aldo De Negri, coadiuvato dal maresciallo Salvatore Messineo, avvia l’indagine nell’ambito di un’inchiesta su oggetti d’arte sottratti dal Museo di Termini Imerese. L’intera e complessa vicenda, riassunta dall’archeologa Lucia Ferruzza sulla rivista Kalòs, avrebbe avuto inizio nel 1980, con il rinvenimento casuale del reperto nel territorio di Caltavuturo. In un primo tempo, la coppa sarebbe stata acquistata da un collezionista di Catania ed in seguito venduto ad altro collezionista ennese.
Nel 1991 – si legge nella pubblicazione della Soprintendenza – la phiale lascia clandestinamente la Sicilia ed è portata in Svizzera, dove viene acquistata da William Veres, amico del collezionista ennese e successivamente, tramite un intermediario (Robert Haber, proprietario di una società che si occupa di arte antica), venduto al miliardario statunitense Michel Steinhardt per 1.200.000 dollari. La coppa, a Lugano, passa dalle mani del Veres a quelle dell’Haber, con bolle doganali false, e vola a New York, al nuovo acquirente, lo Steinhardt, che ne fa subito valutare l’autenticità ad esperti del Metropolitan Museum.
“Dal 1995 la Procura di Termini Imerese, – scrivono gli archeologi Spatafora e Vassallo – muovendosi con abilità e districandosi nella complessa rete del diritto internazionale in materia di esportazione di opere d’arte, avanza richiesta di rogatoria internazionale alla competente autorità giudiziaria di New York, chiedendo la restituzione dell’oggetto e rivendicandone la legittima proprietà allo Stato Italiano. La prosecuzione dell’indagine, comporta l’avvio delle perizie necessarie a stabilire l’autenticità del reperto, affidate ai professori Nicola Bonacasa, Giuseppe Nenci ed Antonietta Brugnone, che ne attestano il valore e l’originalità, confermate del resto da recenti analisi di laboratorio disposte dalla Procura di Termini Imerese ed effettuate da esperti dell’Università di Siena e della Sapienza di Roma”.
Dopo vari passaggi giudiziari, la coppa viene sequestrata dall’autorità giudiziaria americana e, grazie ad una sentenza dei giudici newyorkesi, che riconoscono illeciti doganali ad Haber e Steinhardt, nel 1999 il reperto ritorna in Italia, dove viene brevemente esposto al Ministero dei Beni Culturali, presentato da parte dell’allora ministro Giovanna Melandri. Il reperto viene, così, consegnato alla Procura di Termini Imerese che, su richiesta della rivista d’arte Kalós, ne autorizza una breve esposizione nella sede a Palermo, nelle sale di Villa Malfitano, per affidarla poi, il 3 maggio del 2002, in custodia giudiziaria all’allora soprintendente Adele Mormino. Così, nel 2004, la coppa viene esposta al museo di Himera, dove si trova tutt’ora.
La coppa, più propriamente una phiale mesomphalos databile tra la fine del Quarto e gli inizi del Terzo secolo avanti Cristo, del peso di quasi un chilogrammo di oro puro, è un oggetto di raffinatissima oreficeria: una “patera ombelicata” destinata probabilmente a libagioni di carattere religioso in un santuario di un centro di cultura greca. La impreziosiscono delicati motivi di ghiande, api, palmette, fiori di loto e viticci, resi con punzonatura, cesellatura e incisione; sul bordo si legge ancora l’iscrizione con il nome del dedicante e il peso dell’oggetto.