◉ CULTURA
L’arte multiforme di Enzo Venezia: “Palermo metafora del mondo”
Al museo Riso la mostra “Ruggine”, personale curata da Eva Di Stefano che l’eclettico artista ha dedicato alla sua città, tra allegoria e memoria
di Guido Fiorito
16 Dicembre 2024
Enzo Venezia è un uomo di multiforme ingegno. Un’artista completo: oltre che nella pittura, si è espresso in tutte le forme del teatro, ma anche in opere come i mosaici con i sette vescovi per la chiesa di San Gregorio di Agrigento e il portone in bronzo per la chiesa della Madonna di Lourdes a Palermo. Venezia torna al museo Riso con la mostra Ruggine (a cura di Eva Di Stefano) che mette al centro uno dei temi che più gli stanno a cuore, l’essere palermitano e il destino della sua città.
“In effetti Palermo – spiega – è una metafora del mondo. Lo svuotamento della sua identità, complice il turismo di massa, succede in tutti i centri storici”. Nei suoi discorsi l’amato dialetto “espressione del popolo” si mischia ai continui riferimenti “all’eretico Pasolini” che seppe profetizzare l’omologazione, attraverso i consumi standardizzati, e lo svuotamento dell’identità. “La fine di un rapporto autentico e non ipocrita con le cose più popolari”, dice Venezia. Quella che Baudrillard, nell’accelerazione della comunicazione contemporanea e del dominio del virtuale, chiama la scomparsa della realtà.
Nella mostra Ruggine è come se i simboli della palermitanità, reale non un’idea platonica, fossero esplosi, proiettati in un universo spaziale e svuotati di senso. “Ruggine è una metafora di Palermo – dice Venezia – una metafora con disappunto. La ruggine è un groppo in gola, qualcosa che non posso inghiottire. Le sculture-architetture sono un riferimento alla Palermo di oggi e alle sue assenze. Architetture ridotte all’osso, ectoplasmi”.
Ci sono i simboli e le tragedie della città, in particolare la memoria del cibo, stigghiole, angurie, l’insalata, la cassata, rose e babbaluci. L’agnello appeso dai carnezzieri a la testa in giù, con la data della strage di Capaci: è sacrificale, ovvero è Falcone. Il fico d’India, il ficus di piazza Marina, i diavoli della Zisa che non si possono contare. “Una parete è dedicata al mio diario – dice Venezia – anche qui c’è Palermo, con il Pellegrino ma anche il sacco di Palermo, che rappresento con un uomo accoltellato alla schiena con due case in mano. E poi una stanza in bianco e nero sull’assenza, che mostra il mio amore per il costruttivismo russo a partire dal quadrato nero di Malevič. Il quadrato rappresenta l’universo, il cielo; il cerchio la terra. Come nell’uomo vitruviano di Leonardo, quello che Eco definiva il più noto dei suoi colleghi”.
Enzo Venezia, classe 1950, ha visto tanto e tanto ha restituito nelle sue opere. “Da bambino – racconta – camminavo tra le macerie della guerra, c’erano le travi di legno che puntellavano i muri delle case che altrimenti sarebbero caduti. Adesso tutto è ricostruito ma siamo lo stesso al disastro, basta guardare l’occupazione di via Maqueda. Da bambino disegnavo tanto e attraverso mia madre sono cresciuto conoscendo i grandi pittori. Volevo fare un lavoro vicino a questo genere di cose. Mi sono laureato in architettura, ho amato insegnare l’arte. Tanto teatro, costumista, scenografo, illustratore, pittore, curatore di mostre. Ho lavorato tanto, più di cento manifesti tutti legati alla cultura, decine e decine di scenografie al teatro Biondo, il mio teatro. Una comunità dove conosco tutti, e ciò è molto bello. All’inizio dell’opera mi piace lo spunto intellettuale, la riflessione, il progetto che poi trova un approdo materico. Realizzare qualcosa che la gente può toccare”.
Così le sue mostre possono leggersi come una manifestazione teatrale. “Una mostra – spiega Venezia – è una forma di spettacolo, una grande istallazione in cui ogni opera dialoga con le altre. Non mi piace la logica della stretta coerenza, è più importante creare emozioni. Il visitatore quando entra nella mostra deve essere sorpreso. È qualcosa che è collegata all’arte e non riguarda solo il barocco, anche Giotto voleva stupire. Così come non mi interessa la contrapposizione figurativo-astratto. Non guardo agli aspetti formali, sono disposto a fare anche il pane in mostra se serve”.
Ruggine contiene anche un suggestivo video, ideato da Venezia, dal titolo Costellazione Palermo, proiettato sul soffitto (realizzazione di Ignazio Lo Manto, musiche di Giuseppe Rizzo, testo di Giuseppe Di Benedetto). L’universo stellato, le traiettorie silenziose di misteriose astronavi, i simboli della città, che riempiono il cielo e poi scompaiono.