Mare, visioni e ricerca: una mostra per Sebastiano Tusa
All’Arsenale della Marina Regia di Palermo inaugurato un allestimento che ripercorre l’avventura professionale dell’archeologo scomparso. Un patrimonio d’immagini, testi, reperti e oggetti personali
di Antonio Schembri
24 Dicembre 2021
La Storia raccontata dal mare. Rivelata soprattutto da quel ricco e ancora misterioso museo sommerso che è il Mediterraneo. Solo da pochi decenni l’archeologia subacquea consente di accendere riflettori più penetranti sulla trama di vicende belliche, popoli, lingue e commerci che ha determinato prodigiosi processi di civilizzazione nel “Mare nostrum”. Un lavoro oggi necessariamente legato all’utilizzo di dispositivi con tecnologie sofisticate per sondare fondali a quote abissali, su cui chissà quanto ancora, tra fasciami di navi antiche e tonnellate di oggetti, giace sparpagliato; e che farebbe apparire come microscopica la quantità di ancore e cippi, sculture e utensili, armi e porzioni d’armatura ad oggi rinvenuta soprattutto davanti alle coste siciliane, fino a 50-60 metri di profondità.
Laddove cioè le operazioni subacquee con autorespiratori ad aria entrano in una dimensione di rischio elevato. Alcuni di questi oggetti hanno piegato le direzioni della storia. Come i rostri a tridente, i micidiali prolungamenti bronzei che i Romani montavano sulla prua delle triremi per speronare le navi nemiche. Dopo averne visto uno nel salotto di un medico trapanese che l’aveva acquistato da un pescatore delle Egadi, interessato a liberarsene dopo averlo trovato impigliato tra reti calate davanti a Capo Grosso, la punta più settentrionale di Levanzo, Sebastiano Tusa intuì che quell’oggetto dovesse essere solo uno dei tanti con cui le navi di Lutazio Catulo distrussero la flotta di Cartagine nel fatidico 10 marzo del 241 avanti Cristo: il giorno della battaglia delle Egadi, fatto di grande rilevanza geopolitica svoltosi appunto tra Levanzo e Marettimo e non davanti alla celebre Cala Rossa di Favignana.E che, come resocontò Polibio nelle sue “Storie”, mise un punto fermo a 24 anni di lotte e ostilità tra due contendenti intenzionati a diventare imperi: troppi in uno spazio ricco ma piccolo come il mare “in mezzo alle terre’. Lo stesso giorno di fine inverno, quello in cui nel 2019, a bordo di quell’aereo maledetto, il famoso archeologo palermitano, fondatore della Soprintendenza del Mare, avrebbe dovuto atterrare a Malindi, in Kenya, per illustrare a una conferenza dell’Unesco i progressi della ricerca archeologica in Sicilia.Adesso una mostra permanente consente di ripercorrere e comprendere la sua parabola umana e culturale, nella quale il ruolo di assessore regionale ai Beni culturali ha rappresentato l’ultima facies di una poliedrica attività di studioso e ricercatore prestato alla politica. È quella inaugurata pochi giorni fa a Palermo, all’Arsenale della Marina Regia, che presto ospiterà il Museo del Mare e della Navigazione della Sicilia. Un progetto sul quale Tusa si è a lungo speso e i cui lavori sia per la complessiva ristrutturazione dell’edificio che per l’impiantistica e l’allestimento degli spazi espositivi, sono appena andati in gara. Un’operazione finanziata con oltre 4 milioni e mezzo di euro attraverso il Fondo di Sviluppo e coesione – Patto per il Sud.Immagini, testi, reperti, e ancora documentari, installazioni multimediali, oggetti personali. Un patrimonio materiale e di idee illustrato in cinque sezioni dell’esposizione: la prima, “La passione per l’archeologia”, racconta i primi scavi e ritrovamenti di Sebastiano Tusa in Sicilia. Si passa poi a “La storia dell’archeologia subacquea”, con approfondimenti sull’evoluzione di questa disciplina, mentre i video della sezione su “Le ricerche istituzionali in Sicilia” mostrano le operazioni archeologiche nelle acque siciliane, dal recupero del Satiro allo scavo subacqueo di San Vito Lo Capo.Si prosegue con la zona dedicata a Giass e Scras, rispettivamente il Gruppo d’indagine archeologica subacquea e il Servizio per il coordinamento delle ricerche archeologiche sottomarine, attivati da Tusa all’interno dell’Assessorato dei Beni culturali. E si giunge infine, appunto, a “La storia della Soprintendenza del Mare”, l’organismo nato nel 2004 sull’ossatura delle due precedenti strutture, da cui l’avventura dell’archeologia subacquea in Sicilia si estende anche alle esplorazioni in alto fondale.Un know how, quello costruito sui metodi di ricerca e i risultati ottenuti dall’organismo regionale, che lo hanno nel tempo accreditato come un’eccellenza di livello mondiale, ponendolo perciò al centro di partnership internazionali. Come quella con l’americana Rpm Nautical Foundation, per le ricerche effettuate con batiscafi e Rov, i veicoli subacquei a controllo remoto. E tra tanti altri progetti, quelli portati avanti da Tusa con il governo della Tunisia per la creazione di parchi marini e itinerari archeologici sommersi tra Capo Bon e Tabarka.Un fronte strategico, proprio quest’ultimo: “Su 29 itinerari archeologici subacquei finora creati in tutta Italia in collaborazione con i diving center, la sola Sicilia ne offre già 25 e a breve ne saranno fruibili altri 2, dislocati a varie profondità e contrassegnati da schede didattiche plastificate su ciascun reperto in modo da garantire una divertente esperienza culturale ai subacquei muniti di brevetto”, ha ricordato durante la presentazione Valeria Patrizia Li Vigni, vedova di Tusa, succedutagli alla direzione della Soprintendenza del Mare.Un museo di natura e frammenti d’antichità da proteggere con un impegno internazionale, il mare. Per decenni, sin dall’epoca pionieristica della subacquea, soprattutto i sotto costa del Mediterraneo sono stati depredati da cacciatori di tesori senza scrupoli, assetati di business. Dal 2001 vige la convenzione Unesco per tutelare il patrimonio culturale sottomarino da ogni forma di utilizzo improprio. Fu Sebastiano Tusa a ispirare quel documento che ha attivato a livello globale un fondamentale cambio di mentalità, basato sul concetto che i reperti sommersi sono patrimonio di tutti e che la loro fruizione non può più rispondere a criteri privatistici. Ragion per cui non devono necessariamente essere riportati in superficie ma, al contrario, ove possibile e entro certi limiti, essere custoditi e resi accessibili direttamente sott’acqua, a subacquei muniti di brevetto.È lungo l’elenco degli oggetti provenienti dagli scavi effettuati da Tusa in tutta la Sicilia. In esposizione al Museo del mare prossimo venturo si possono ammirare oltre ai rostri, anche gli elmi della Battaglia delle Egadi, la chiglia dell’imbarcazione recuperata a Capo Feto, a Mazara del Vallo, le anfore provenienti dallo scavo di Porto Palo di Menfi; e, tra tanti altri oggetti ancora, le ceramiche a vernice nera di Lipari, donate da Enzo Sole alla Soprintendenza del Mare e quelle restituite dall’Allard Pierson Museum di Amsterdam, i lingotti in oricalco recuperati a Gela e quelli in piombo provenienti da Pantelleria. E, immancabili, le numerose anfore e ancore in piombo che coprono un ampio arco cronologico della navigazione antica in Sicilia.Grandi imprese, quelle dell’archeologia subacquea nella sua evoluzione. La disciplina nasce nel 1943, in Francia, con la messa a punto del primo autorespiratore ad aria da parte del grande oceanografo Jacques Cousteau. Ma è l’Italia il paese antesignano: la visione di un progresso culturale legato alle scoperte sottomarine si deve infatti a un formidabile personaggio d’origine ligure, Nino Lamboglia, che si dedicò febbrilmente all’organizzazione di scavi subacquei dal 1950 al 1977, anno della sua beffarda scomparsa.Lamboglia, che non sapeva nuotare, annegò nelle acque del porto di Genova dopo esservi scivolato per errore con la sua auto. Dopo quella tragedia il settore rimase bloccato. Per risvegliarsi nel 1997 con il casuale ritrovamento in due fasi, monitorato da Sebastiano Tusa, della statua del Satiro Danzante, anche questa tirata su dalle reti gettate nel Canale di Sicilia da alcuni pescatori di Mazara del Vallo.Un settore che oggi include sempre di più anche la ricerca e la protezione del patrimonio biologico marino. Una visione che Tusa perseguì sin dall’inizio della sua carriera, senza vezzi accademici. “Ad appena 30 anni scrisse il primo ‘Manuale di Preistoria’ – ha ricordato Li Vigni – un testo ancora oggi adottato nelle Università, che quasi 40 anni fa spiazzò l’ambiente baronale degli atenei, con professori che lo criticavano dicendogli che a quell’età i libri si leggono e non si scrivono”.Sul solco tracciato da Sebastiano Tusa, oggi le iniziative della Soprintendenza del Mare, assommano nuovi step: “Siamo stati recentemente convocati dal ministero per fornire dati che serviranno a una missione intergovernativa al Banco Skerki”. È proprio su questa secca ricchissima di biodiversità, ubicata in acque internazionali tra Sicilia e Tunisia, che il nucleo dei sommozzatori guidati da Tusa aveva portato in superficie un cannone della Seconda Guerra Mondiale. Ma è anche il luogo in cui, all’indomani del ritrovamento del Satiro, giunse il discusso oceanografo e archeologo americano Robert Ballard che dopo avere identificato sette relitti, asportò 170 pezzi per venderli negli Stati Uniti.“Sebastiano Tusa è stato capace di innovare la narrazione dell’archeologia, la quale non si lega soltanto all’attività di scavo ma è anche una visione culturale e esistenziale, uno strumento per svelare pezzo per pezzo la nostra identità – ha detto Alberto Samonà, l’assessore ai Beni culturali che ne ha raccolto il testimone – . I risultati si leggono in termini di interesse di studiosi e turisti che arrivano in Sicilia per visitare i siti archeologici. E li confermano i numeri dei luoghi della cultura sull’Isola: solo nello scorso agosto 546mila biglietti staccati”.