Quando Sant’Erasmo era avamposto dei pittori

La rinascita di un tratto di litorale della città restituisce in parte gli scorci di paesaggio dipinti dai vedutisti dell'Ottocento

di Emanuele Drago

7 Agosto 2020

La recente riqualificazione del porticciolo di Sant’Erasmo, con la relativa dismissione del distributore di carburante (ve ne abbiamo parlato qui), ha ulteriormente contribuito e fatto in modo che i palermitani riscoprissero una parte di costa di levante ai più sconosciuta. La rinascita del litorale, infatti, oltre che essere un fatto concreto che è possibile toccare con mano, giorno dopo giorno, ha anche un grande valore simbolico, in quanto, insieme al recupero dello Stand Florio può e deve rappresentare il punto di partenza per la rinascita dell’intera costa di levante della città (impropriamente chiamata costa sud).

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Veduta di Lo Jacono

Perché l’importanza di questo lembo di mare, come d’altronde tutti i sette chilometri di costa, non è il frutto dell’invenzione di vecchi romantici, ma trova importanti testimonianze nella stessa pittura siciliana della metà dell’Ottocento. La costa di levante e Sant’Erasmo costituirono un avamposto privilegiato per illustri vedutisti quali furono Francesco Lo Jacono e Francesco Zerilli, ma anche Andrea Sottile e Anton Sminck van Pitloo. Certo, oggi, a gran parte della città, la cosa apparirà inverosimile, visto che proprio in questa zona prospiciente il porticciolo nacque, durante gli anni del sacco edilizio, la prima grande discarica di materiali inerti (lo scaricatore di Palermo).
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Particolare di un quadro di Lo Jacono

Eppure, per chi ama spulciare tra i cataloghi e le riviste di storia dell’arte, così non è. Infatti, come nella prima metà dell’Ottocento il golfo di Marsiglia (in particolar modo il piccolo borgo di pescatori dell’Estaque) aveva i trovato i suo illustri pittori in Cézanne e Renoir e Napoli nella cosiddetta “Scuola di Posillipo”, lo stesso in quegli anni accadeva per la costa di Palermo. Sono, infatti, diverse e splendide le raffigurazioni che risalgono a quello stesso periodo, in cui è possibile scorgere pescatori e bambini in mare o nell’ampia scogliera, mentre sullo sfondo domina estatico come un bisonte addormentato monte Pellegrino.
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Foto d’epoca con la pesca dei tonni e l’Astrachello sullo sfondo

E uno dei luoghi privilegiati, come già detto, era appunto il piccolo porticciolo di Sant’Erasmo, in cui, a partire dal 1440 Tommaso Mastrantonio (su concessione del re Alfonso d’Aragona) aveva fondato una tonnara conosciuta come la “Tonnarazza”. Un piccolo braccio di mare in cui operavano costantemente pescatori, calafati, maestri d’ascia e carrettieri, che dalla caletta (conosciuta come Capicello) distribuivano i tonni e il pescato alle borgate circostanti. La tonnara rimase in funzione fino al 1788, ma nonostante fosse ormai stata dismessa, nel piccolo porto era possibile ancora ammirare, da un lato la casina dei marchesi di San Giacinto (oggi ubicata sul lato prospiciente il mare, la cui visuale è occultata dallo scheletro di un grande edificio i cui lavori sono fermi dal 2008) e dall’altro l’Astrachello di Cutò, una deliziosa casina in stile Impero edificata all’inizio dell’Ottocento da Alessandro Filangeri di Cutò senior, nonno del Alessandro Tasca principe di Cutò, noto anche come “il barone rosso”.
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Un tratto del porticciolo riqualificato

Sembra che nel 1843 la casina avesse ospitato il musicista Giovanni Pacini, il quale, al suo interno vi compose l’opera in tre atti dal titolo “Maria Regina d’Inghilterra”, che poi venne rappresentata al Teatro Carolino di Palermo l’11 febbraio dello stesso anno. Oggi quel vecchio Astrachello non esiste più, poiché, all’inizio del Novecento, insieme alla chiesetta seicentesca dedicata a Sant’Erasmo, venne inglobata all’interno della “Casa Lavoro e Preghiera” per l’infanzia abbandonata creata dal sacerdote Giovanni Messina.
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Discarica vicino al fiume Oreto

Eppure, tanta gente ha ripreso a passeggiargli attorno; magari in attesa che possa inoltrarsi anche oltre, dalla foce dell’Oreto fino allo Stand Florio. E se anche non potrà ritornare a vedere le scogliere di un tempo, va comunque detto che il mare è sempre lì, ad aspettare che qualcuno lo renda fruibile; se non ai pennelli o ai bagnanti, certamente agli appassionati di fotografia, che potranno far riscoprire nuovi angoli e nuove prospettive fino adesso rese inaccessibili da montagne di detriti e manufatti industriali di ogni tipo. L’auspicio è che l’opera di risanamento della costa di levante divenga una vera priorità, soprattutto in una città che ha nel suo stesso etimo “tutto porto” e magari in tempi che non siano troppo incerti. L’abbattimento di edifici abusivi o manufatti fatiscenti sul mare, sarebbe un ottimo punto di partenza per la creazione di grande parco naturale costiero, così come d’altronde è previsto nel Piano di utilizzazione delle aree del Demanio marittimo.* Docente e scrittore