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Antonio Sanfilippo, sognatore siciliano maestro dell’astrattismo

Per il centenario della nascita, una mostra antologica divisa tra Palermo e Partanna celebra il pittore tra i più rappresentativi del secondo dopoguerra. Uomo schivo e solitario, preferiva far parlare le sue opere piuttosto che cercare le luci del palcoscenico

di Guido Fiorito

22 Dicembre 2023

A cento anni dalla nascita, la Sicilia ricorda Antonio Sanfilippo, singolare maestro italiano dell’astratto. I suoi segni e volumi non sono mai freddi; i colori delicati e filtrati da grande sensibilità; le sue pitture esprimono lirismo. Una mostra antologica che si divide in più parti. Partanna, luogo di nascita e di crescita, dialoga con Palermo. Il castello Grifeo ospita le opere giovanili e poi ci sono gli affreschi del villino Scerbi dalla storia avventurosa. Le altre tele sono divise a Palermo tra il museo Riso, che ospita opere dai grandi musei italiani, e Villa Zito con quelle della collezione della figlia Antonella.

Antonio Sanfilippo, Brucanio, 1946, olio su tela, Collezione Ballatore Marino (foto Giorgio Varvaro)

Un uomo schivo e solitario, che preferiva far parlare le sue opere piuttosto che cercare le luci del palcoscenico. Nasce a Partanna, l’8 dicembre del 1923, e studia al liceo artistico di Palermo, allievo di Michele Dixit e, per la storia dell’arte, di Guido Ballo, futuro critico dell’astrattismo.  “I suoi lavori giovanili – dice Bruno Corà, curatore della mostra che si è appena inaugurata  – sono già sorprendenti per qualità e sicurezza”. A venti anni, nell’estate del 1943, in una villetta dove dipinge mentre infuria la guerra e gli alleati liberano la Sicilia, copre due muri di affreschi. “Era un artista colto – aggiunge Corà – e si era ispirato a L’Atelier du peintre di Gustave Courbet, con un autoritratto al cavalletto, e intorno i suoi amici, un gruppo di giovani molto vivaci dal punto di vista intellettuale”. E poi c’è la modella, un nudo di donna.

Antonio Sanfilippo, Atelier, Villino Scerbi (foto Katia D’Ignoti)

Gli affreschi sono stati recuperati in modo avventuroso. “Come spesso gli capitava – racconta Patrizia Li Vigni, presidente della Fondazione Tusa, ente tra i promotori della mostra  – mio marito Sebastiano Tusa, aveva raccolto testimonianze di partannesi che raccontavano di questo posto che si era perduto. Poi la cugina dell’artista Anna Maria Sanfilippo ha dato impulso al suo ritrovamento”. Il villino era stato abbandonato, invaso da erbacce; sui muri non c’era traccia di affreschi. Era stato utilizzato come scuola rurale, i dipinti coperti di intonaco per evitare la vista dei nudi ai bambini. Si pensa di demolirla ma un saggio sul muro cambia la storia. Basta scrostare un po’ d’intonaco, gli affreschi ricompaiono. I proprietari, Milena e Paolo Sieli, salvano la villetta e restaurano gli affreschi. Siamo nel 2013.

Sanfilippo nel 1948 a Roma

Nel Dopoguerra Totò Sanfilippo si trasferisce a Roma e fa parte del gruppo di astrattisti di Forma, che comprende, tra gli altri, Consagra e Attardi (compagni di studi a Palermo), Dorazio e la trapanese Carla Accardi che aveva conosciuto all’Accademia di Belle Arti a Palermo nel 1944 e che sposa nel 1949.  “Si proclamano marxisti e formalisti – spiega Corà – in opposizione a artisti come Guttuso, organici al Pci e realisti. Il bello è che punto riunione di questi artisti a Roma era proprio lo studio di Guttuso”.

La rassegna di Villa Zito mostra l’evoluzione di Sanfilippo, esponendo le opere in ordine cronologico. Le tele geometriche della fine degli anni ‘40, poi il passaggio all’astratto. Viaggia più volte a Parigi, ampliando le conoscenze. Il suo astrattismo diventa morbido, vicino a quello Kandinskij, poi il segno emerge protagonista. Neanche le cifre nere, che lo portano verso l’informale, riescono a spegnere il suo lirismo cromatico.

Antonio Sanfilippo, Senza titolo, 1953, olio su tela

Nell’ultima fase i segni diventano quasi lettere di alfabeto o si riducono a punti, corpuscoli. “Lui le chiamava – dice Corà – nuvole o costellazioni. Mostrano che la sua cultura artistica conviveva con l’interesse scientifico. I segni si muovono sulla tela come stormi di uccelli. Di tutti i componenti di Forma era il più dotato di poesia, un uomo meditativo che dipingendo raggiungeva momenti di felicità”.

Nel 1965 avviene la separazione da Carla Accardi, all’inizio degli anni Settanta Sanfilippo entra in crisi, si isola, non dipinge più. La fine è tragica: il 27 gennaio 1980 viene investito a Roma da un’auto mentre esce da un ristorante in piazza Cola da Rienzo. Sembra cosa non grave, in ospedale è lucido e sereno, dice alla figlia di tornare a casa. Poi entra in coma e muore quattro giorni dopo. Ha appena 56 anni. Sei mesi priva aveva realizzato tre acqueforti, tornando all’arte dopo una lunga pausa.

Oggi, per un raro caso, di solito è avvenuto purtroppo il contrario, ovvero che l’uomo oscuri la compagna di talento, la quotazione delle opere della moglie, eccezionale artista anche lei, hanno una valutazione di molto superiore a quelle del marito. Scrive di sé Sanfilippo: “Non importa essere mondani ma ordinati, attenti, equilibrati. Sono un sognatore, molti lati della vita mi sfuggono”. 

Chiude Corà: “Durante la sua vita ha avuto fortuna critica. Per esempio era molto apprezzato dal critico francese Michel Tapié. Dopo la morte prematura, l’attenzione si è spostata sui suoi compagni di Forma che hanno vissuto a lungo. Questo centenario deve servire a dare stabilmente a Sanfilippo il posto che merita tra i grandi maestri del secondo Novecento”. La mostra, intitolata “Antonio Sanfilippo, segni, forme, sogni della pittura. Cento anni”, resterà aperta fino al prossimo 24 febbraio.