◉ BENI CULTURALI
Palermo riabbraccia lo Spasimo, visite per sei weekend con Le Vie dei Tesori
Fino al 16 novembre si potrà ammirare la grande chiesa famosa per la sua navata a cielo aperto, a restauro ancora in corso. Visibile anche l'altare del Gagini che incorniciava la tavola di Raffaello. Altri due progetti riguarderanno il completamento dei lavori di restauro della chiesa e la sistemazione del giardino
di Redazione
11 Ottobre 2025
Lo Spasimo è stato restituito alla città: il cielo azzurro che si pone a copertura, le cappelle laterali recuperate e l’assetto originario, Palermo riacquista uno dei suoi luoghi più amati. Il cantiere è ancora in corso, ma sarà possibile visitarlo durante Le Vie dei Tesori, per sei weekend (venerdì, sabato e domenica) da oggi al 16 novembre. L’inaugurazione stamattina alla presenza del sindaco Roberto Lagalla: i giovani delle Vie dei Tesori hanno accolto i primi visitatori che si sono riversati allo Spasimo sin dai primissimi minuti di apertura, ascoltando la storia della chiesa incompiuta voluta nel 1509 dal giureconsulto Jacopo Basilicò che commissionò a Raffaello Sanzio la famosa tavola (poi trasferita su tela) che, dopo alterne vicende, partì per la Spagna di Filippo IV e oggi è esposta al Museo del Prado.
A incorniciare l’opera – la più grande mai completata da Raffaello –, un altare in marmo del Gagini, anch’esso con una lunga storia di abbandoni e ritrovamenti: qualche anno fa la storica Maria Antonietta Spadaro lo individua abbandonato a Villa San Cataldo a Bagheria e ne cura il recupero. L’altare torna finalmente allo Spasimo, non nella cappella Basilicò (nel frattempo scoperchiata e oggi recuperata) ma nella simmetrica cappella Anzalone dove “abbraccia” la ricostruzione della tela di Raffaello a cura di Factum Arte. Sarà splendido ritrovarlo durante il festival, protagonista anche di una lezione d’autore della stessa Spadaro, il 25 ottobre alle 11. “È un lavoro che ci consente di recuperare nella sua totalità questa chiesa straordinaria a cui viene restituito finalmente l’assetto originario. Lo Spasimo è unico, con la sua navata a cielo aperto e l’abside chiusa; e i palermitani hanno sempre dimostrato di amarlo profondamente”, ha detto il sindaco Roberto Lagalla.
IL RESTAURO
L’obiettivo dichiarato è quello di non mutare l’immagine (contemporanea) dello Spasimo a cui la città è affezionata: l’edificio ha un impianto a tre navate separate da quattro slanciate serie di archi a sesto acuto e ampie cappelle laterali. “È chiuso alle visite da poco meno di due anni – spiega il direttore dei lavori Salvo Giardina – , il restauro del Comune di Palermo ha riguardato la messa in sicurezza dell’intera struttura, il risanamento dei solai e della copertura sulle ali laterali e sull’abside; il restauro delle parti in pietra, le costolature delle volte e gli archi”. I lavori, che prevedono ulteriori tranche, sono finanziati con Fondi della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il terremoto del 2002. Un altro progetto di restauro è in corso e riguarda il fascinoso giardino sopra le mura, dove dovrà essere liberato il muro contro terra addossato alla chiesa, che dà problemi di umidità; i lavori in questo momento sono sospesi per una perizia di variante necessaria perché sono stati scoperti reperti archeologici (del periodo antecedente alla costruzione dello Spasimo) al vaglio della Soprintendenza. Altri due progetti, a seguire, riguarderanno il completamento dei lavori di restauro della chiesa e la sistemazione del giardino, con fondi dell’assessorato Palermo Centro storico dal Ministero della Cultura. I lavori sono eseguiti da un’ATI formata dalla Dolmen srl di Caltanissetta e Icoser srl di Gangi.
LA STORIA DELLO SPASIMO
Alla chiesa di Santa Maria dello Spasimo, finanziata dal giureconsulto Jacopo Basilicò e approvata da Papa Giulio II nel 1509, lavorarono soprattutto maestranze spagnole. I lavori di costruzione della chiesa e del vicino convento proseguirono per molti anni, ma non vennero mai completati perché nel 1536, sotto la minaccia turca, fu disposto il potenziamento del sistema difensivo della città, e l’area a ridosso dello Spasimo fu scelta per la realizzazione di un baluardo difensivo. In seguito la chiesa (nella parte coperta, oggi occupata dalla Scuola di musica del Brass) divenne luogo di rappresentazioni teatrali, lazzaretto durante la peste del 1624; magazzino di cereali e grano, vista la vicinanza con l’antico porto; ospedale civico e, fino al 1986, ospedale geriatrico.
LA CHIESA E LO SPASIMO DI RAFFAELLO
L’ingresso era preceduto da un atrio, aperto da un grande arco ribassato, e affiancato da due cappelle simmetriche coperte da cupolette, le cosiddette cappella Anzalone (a sinistra, volta crollata e ricostruita) e cappella Basilicò (a destra, anche qui la volta crollò ma non venne mai riallestita): e proprio per quest’ultima il giureconsulto decise di commissionare al più famoso pittore del tempo, Raffaello Sanzio, un dipinto che raffigurasse lo Spasimo di Maria Vergine, cioè il dolore della Madonna nel vedere il figlio cadere sotto il peso della Croce sulla via del Calvario. Raffaello, ispirandosi ad un’incisione del tedesco Dürer, realizza l’opera intorno al 1517. E’ il Vasari a raccontare il naufragio della nave che trasportava lo Spasimo lungo le coste liguri, del ritrovamento della tavola da parte dei genovesi che tentarono di appropriarsene e dell’intervento di papa Leone X perché fosse riconsegnata ai palermitani. Fatto sta che lo Spasimo giunge a Palermo tra il 1518 e il 1519 e viene collocato all’interno della famosa cornice marmorea nel frattempo commissionata al Gagini.
È un’opera straordinaria, la più grande (318 per 229 centimetri) mai completata da Raffaello. L’altare e la tavola, tanto venerata dai palermitani, seguono i monaci olivetani nel trasferimento dallo Spasimo al monastero di Santo Spirito. Ma nel 1661 l’abate Clemente Staropoli, tramite il viceré Francesco de Ayala, dona il prezioso dipinto a re Filippo IV di Spagna, sostituendolo con una copia. La tavola avrà alterne vicende, fu rubata dalle truppe napoleoniche, raggiunse Parigi (dove viene trasportata su tela) ma fu infine restituita alla Spagna ed è visibile al Prado. Ai monaci olivetani resta invece l’altare in marmo del Gagini per un altro secolo – lo descrive il Mongitore nel 1721 – ma quando si trasferiscono a San Giorgio in Kemonia, lo abbandonano alla cappella di San Luigi Gonzaga, nella chiesa del Collegio Massimo dei Gesuiti (l’attuale Biblioteca Regionale), poi viene smembrato e abbandonato a Villa San Cataldo a Bagheria dove la storica Maria Antonietta Spadaro lo individua, ne cura il recupero e ritorna finalmente allo Spasimo. L’altare in marmo di Carrara è costituito da due colonne (3,30 metri) finemente lavorate a soffici grappoli, che reggono una trabeazione, anch’essa a motivi vegetali, conclusa da un classico timpano, che nello spazio interno accoglie un altro decoro.
(Foto: Igor Petyx; video: Rosaura Bonfardino)