E il muretto a secco divenne patrimonio mondiale
L'Unesco ha annunciato in un tweet l'iscrizione di un sapere antichissimo che ha diversi esempi in Sicilia. L'esperto Giuseppe Barbera: “Tutela fondamentale, è una tecnica che rischia di estinguersi”
di Antonella Lombardi
29 Novembre 2018
“Era la contea un piccolo regno nel regno, una storia leggibile in modo inconfon, agronomo, professore di Colture arboree all’Università di Palermo e autore di diversi libri – nata con l’idea di proteggere un giardino, parola che, sin dalle sue origini etimologiche nella radice indoeuropea ‘garthr‘ o ‘gord‘ indica l’idea di uno spazio recintato, chiuso, come sarà con l’hortus.Ha origini millenarie, alcuni muretti ritrovati risalgono infatti all’età del bronzo. In Sicilia si trovano fin dalle origini dell’agricoltura e sono un tratto distintivo del nostro paesaggio, scuri sull’Etna dove è facile reperire la pietra lavica, in pietra bianca calcarea nelle zone più a Sud. Pantelleria o il Ragusano sono zone dove se ne trovano diversi, come le famose chiuse attorno all’albero di carrubo per tenere gli animali al pascolo”.“Ancora una volta i valori dell’agricoltura sono riconosciuti come parte integrante del patrimonio culturale dei popoli”, ha commentato il ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo Gian Marco Centinaio. La pratica rurale dell’arte dei muretti a secco appartiene oltre che all’Italia, a Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera, Paesi che hanno presentato la propria candidatura all’Unesco.Le ragioni che hanno portato nei secoli gli uomini a costruire queste barriere tanto faticose da realizzare quanto durature sono diverse, e sottolineate anche dall’Unesco: fini abitativi o scopi legati all’agricoltura “in perfetta armonia con l’ambiente – afferma l’organizzazione – con un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l’erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l’agricoltura”. “Sono preziosi anche per la biodiversità perché offrono l’habitat e rifugio ideale a piante che non sono presenti altrove e animali come le lucertole – prosegue Barbera – è una tecnica molto legata al sapere tradizionale, perché dopo la fatica della pulitura del terreno, spietrandolo, c’è l’arte della costruzione del muretto a secco: un’operazione che richiede una tecnica particolare perché ogni tipo di pietra è diversa dall’altra, occorre trovare la stabilità e l’equilibrio giusto, le pietre possono essere grezze o sagomate, ma devono essere poste in un incastro perfetto. Un’opera a prova di intemperie e tempo, che ripara dal vento o dagli animali le colture o rende maggiormente coltivabile una superficie. Una tecnica che ‘trasforma la montagna in pianura’”.Ma questo sapere antico e faticoso è fatalmente legato all’età dei pochi che ancora lo sanno realizzare. Un patrimonio di esperienze che difficilmente si tramanda. “Anni fa a Pantelleria abbiamo organizzato dei corsi per trasmettere di padre in figlio quest’arte- spiega l’esperto – occorrono anche degli attrezzi particolari per tagliare la pietra nel modo corretto. Questo riconoscimento Unesco finalmente incontra l’interesse collettivo del nostro paesaggio, certo occorre un piano di gestione di politiche a livello locale per salvaguardare e valorizzare i muri a secco, la tutela non può essere esclusiva dell’agricoltore”.